Ho un paio d'ore, passo al
negozio. La nostra rivendita è ormai un punto di ritrovo, in un
paesino del bellunese che offre poco nulla, basta e avanza. Accompagno sul retro Cristina,
la commessa.
È una cosa veloce, come altre volte. Lei si china senza
togliersi la divisa, la prendo da dietro sugli scatoloni di pasta.
Restiamo appoggiati un minuto, poi ci ricomponiamo.
Torniamo davanti, al
banco e facciamo ancora due chiacchiere. Sua madre sta peggio, le
prometto un prestito, mi guarda come se fossi dio. Ma dio qui non
c'entra, ho solo da offrire un solido conto in banca. Ho ancora dei
giri da fare, poi calcetto con gli amici.
A casa
Scendo nel laboratorio, ogni volta
questa discesa mi procura un piacere immenso, è un po' come calarsi
in un'altra dimensione di sottosuolo. Un'atmosfera rarefatta di luci
al neon e colori tenui, odori tanto saturi da annullarsi tra loro e
confondersi in un'unica qualità protratta di luce suono colore e
odore.
Perchè la porta del
laboratorio è spalancata?
Entro nella stanza di
lavorazione, la temperatura è troppo alta, gli scaffali
crollati uno sull'altro, le forme giacciono in pozze di latte e siero
rappreso, inutilizzabili, tutto da buttare. Calcolo mentalmente
l'ammontare del danno che è alto, mentre un altro scompartimento
della mia mente già anticipa la domanda: mia sorella dov'è, che
succede?
- Carolinaaa!
Non risponde, l'ufficio è
in ordine, lì non è successo nulla, fatico ad oltrepassare le
cisterne cadute, ancora scaffali e sedie buttate a terra.
Ecco mia sorella, è nella stanza
dell'inscatolamento, completamente fradicia, pare immersa nel latte,
ha i polsi legati con fascette in plastica dietro la schiena e ansima, ha uno straccio
appallottolato in bocca, gli occhi tumefatti e appena mi
vede sviene, esausta.
I polsi sono scorticati e sanguinanti nel vano tentativo di liberarsi.
I polsi sono scorticati e sanguinanti nel vano tentativo di liberarsi.
Le libero la bocca, inghiotte grandi quantità d'aria, singhiozza, vomita, le tocco il collo poi
l'orrore: perde sangue in mezzo alle gambe, tra le impronte e le
forme schiacciate al suolo ce n'è un'intera pozzanghera scura.
Sangue nero denso, le alzo la gonna. Per metà le hanno infilato tra
le gambe una caciotta del diametro di un melone. Non so che fare,
vedo un profonda lacerazione e decido di non toccare nulla. L'hanno presa a calci, accanendosi su di lei con morsi e sigarette, la sollevo
dal suolo per correre all'auto. Intanto perde sangue e forse la vita.
Da sempre riesco a tenere una buona lucidità
nelle situazioni peggiori, più l'emergenza è acuta, meglio riesco a
pianificare come uscirne. Nonostante la mia mente chieda pietà mi
metto alla guida, siamo a meno di dieci minuti dal pronto soccorso.
Mi chiedo cosa sia successo, quelle lettere minatorie, ed ecco forse che il traffico
straniero si è dunque mosso. Avevo accumulato abbastanza soldi,
dovevo smettere, lasciare la palla a Ross, su in Svizzera e fare solo
i miei cazzo di formaggi, che c'era da viverne senza problemi.
Ricordo solo la salvezza del reparto,
mia sorella nelle braccia degli infermieri, io che torno in auto e
piango.
-Un passo indietro-
Per tutta la vita ogni
giorno a girare formaggi.
La vita è la migliore o
non sarei venuto fin qua, sono orgoglioso di quello che ho scelto,
poi facciamo tanti soldi io e Carolina, pare quasi di stamparli:
Austria Brennero, Germania, Svizzera, Est Europa vendiamo i formaggi
persino a chi ha inventato come fare i formaggi.
Perché due ragazzi poco
più che ventenni han scelto di ritirarsi in montagna? Per i
formaggi, certo, per andare a prendere il latte alle cinque, per
vivere attaccati a queste cisterne, nelle stalle con le galosce alte, per
ritirare i soldi dai clienti e richiamare i fornitori che
impazziscono, che non ci stanno più dietro, che facciamo lavorare e
smadonnare tutta la notte, che tiriamo giù dal letto alle quattro di
mattina.
Viviamo sui camioncini,
viviamo dentro un grembiule, le mani sfatte per l'umidità e i guanti di
gomma.
Poi le forme, vanno seguite, nove su
dieci da controllare, perché da sole non andrebbero avanti, le forme
vanno girate, esposte all'aria. Un lavoro di pazienza, certo.
Avevo un impiego in città, in ufficio,
ma non ho fatto l'esame di Stato e son venuto qua, per riprendermi
quello che mi han tolto.
Non mi abituo mai a vedere questi
monti, una sorta di corona protettiva che incornicia la mia vita, il sole
lo preferisco verso sera, quando taglia di ombre tutti i calanchi e
le creste delle rocce, che prendono l'aspetto di rughe, immense creature
pazienti, che aspettano che svolgiamo i nostri piccoli compiti umani.
Le lettere arrivano sempre più spesso, sono pressioni, offerte di vendita dell'attività, poche righe scritte a mano che ci intimano di cessare la produzione.
Le lettere arrivano sempre più spesso, sono pressioni, offerte di vendita dell'attività, poche righe scritte a mano che ci intimano di cessare la produzione.
Non me ne curo, per ora penso al
presente immediato.
Ogni sera giro sul retro ed entro nel caseificio,
mia sorella di spalle, gira tutti i formaggi, mi fa cenno di
abbassare la temperatura. Se la cella è troppo calda qua succede un
casino e va tutto a male. Lei è un po' arrabbiata, di non aver
finito l'università, nessuno l'ha obbligata, una sua scelta, ma lo
so che dentro ce l'ha un po' con tutti, soprattutto con me, con
questo posto. Mi regala un sorriso svogliato, ed è sempre più
bella, le treccia e le cuffie dell'Ipod le scendono delicate dietro
l'orecchio, come un ciuffo di capelli prematuramente bianchi. Penso
che parliamo sempre troppo poco e sempre per cellulare. Mi prometto
di prendere più tempo per lei, presto dovremo delegare, l'azienda va
troppo e allora sarà l'ora di fare i manager per davvero e di
regalarci qualche viaggetto in giro per il mondo
Mi suona questo carillon in testa, sono
in tempo con tutto. Fermo la Focus in una piazzola, stendo le gambe e
accendo una Pall Mall.
Mia sorella che non si sta sposando, che
sa che nel paesino tutti la vedono bene col figlio del padrone
dell'Hotel Mortiz, che a me non piace. Lui e la sua dannata famiglia.
Loro sono ricchi, ostentano, non si sentono delle montagne. Solo
grosse auto e modi da milanesi. Lo so ora giriamo solo formaggi, ma
sogno di più
Nostro padre era un uomo burbero,
schivo, fatto per il lavoro, non ci ha lasciato ricordi. Doveva farci
anche da madre, ma non ha fatto neppure da padre. Abbiamo ereditato
questa malga in montagna, una partita IVA e i macchinari. Noi
proseguiamo, senza farci altre domande. Solo dopo che è morto ho
capito tutto, la provenienza dei suoi grossi, improvvisi guadagni.
Il formaggio non ha mai viaggiato solo,
una forma ogni cento, che prende il nome di Zeta, veniva svuotata e
riempita di cocaina purissima. Ogni nostra forma Zeta sale al nord
Europa, compiendo un percorso assolutamente identico a quello delle
altre squisitissime sorelle. Siamo un magazzino, un reparto di
stoccaggio e inscatolamento.
Una sosta nel Nord Italia che è l'ideale per far perdere le tracce della merce, confondere le acque. Mio padre era sempre stato preciso, nel suo segreto, celato ai figli prima di tutti, nessuno sapeva dell'esistenza delle forme Zeta.
è stato Ross, il fornitore svizzero, a illuminarci, a lui il compito di educarci, la base andava mantenuta. Nel tempo il mio rapporto di amicizia e di stima con Ross è andato a rafforzarsi. Un rapporto destinato a durare, al riparo dalle ingordigie che fanno sfumare traffici di questo genere, molti regali, niente internet, niente telefono, solo visite personali e poco contante.
Una sosta nel Nord Italia che è l'ideale per far perdere le tracce della merce, confondere le acque. Mio padre era sempre stato preciso, nel suo segreto, celato ai figli prima di tutti, nessuno sapeva dell'esistenza delle forme Zeta.
è stato Ross, il fornitore svizzero, a illuminarci, a lui il compito di educarci, la base andava mantenuta. Nel tempo il mio rapporto di amicizia e di stima con Ross è andato a rafforzarsi. Un rapporto destinato a durare, al riparo dalle ingordigie che fanno sfumare traffici di questo genere, molti regali, niente internet, niente telefono, solo visite personali e poco contante.
Ho scelto di tenere Carolina fuori,
perché due uomini sono già troppi, perché lei non deve sapere.
Eppure capiva, non obiettava e sorvolava, qualche oggettino costoso e
per il resto solo palestra e meditazione. Una ragazza regolare, una
vera donna di montagna che fingeva di accontentarsi di tutto questo.
E io la amo per questo.
Un gran casino e mi sveglio in auto,
forse Carolina è ancora in chirurgia, mi guardo attorno, ma non
sono all'ospedale. Sono sulla statale. E solo allora mi accorgo che
non mi son mai mosso da qua, dalla piazzola, ho la sigaretta ancora
spenta in mano. Il colpo di sonno.
Rifletto su tutto, la visione nitida e
l'odore del sangue tra le gambe di Carolina mi turba. Gli affari
vanno bloccati, questo è stato il classico sogno premonitore, non devo
ignorare i segnali. Avvio l'auto e mi immetto in statale, stasera
chiamo Ross, per la prima volta lo invito a cena, prossima settimana,
dobbiamo parlare.
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