2001: una scatolina di cartone, di fianco allo specchio, ci tieni il pettine, lacca, olio di lino, olio di monoi, arachidi e sigarette, vuoi essere ordinato, con tutte le tue robe.
Nessuno lo sa, cosa ti hanno fatto, non sei certo una bambolina, così elegante, coi tatuaggi e l'abbronzatura atomica, fai quasi paura.
Carne de macello, pensi.
La camicia è tesa tra le spalle enormi, ti osservi serio: corrughi la fronte, sembra un campo arato.
I capelli sono meno, ma i colpi di sole aiutano, è luglio e il caldo ti rende un appena appena meno nervoso.
Non hai molto da fare, con calma, lisci e rilisci quei pochi crini, fino a renderli perfettamente vaporosi, posi la spazzola, il sole alla finestra ti mette di buonumore, ti ricorda i primi lavori, le scorribande a San Benedetto del Tronto, discoteche e jeans a zampa stretti.
1983: Siete una bella tribù, siete invincibili, è il periodo che al bar, mentre pulisci, ti arriva quel lavoro: vuoi fare il modello?
Un ragazzo bello, troppo bello per stare a Fratte Rosa, al bar, dice tua tua mamma, la sera, davanti a Dallas.
Non voglio vederti invecchiare, a un tavolino, a morire di MS.
Sei così magro e bello, fai tenerezza, vestiti come un cowboy, un uomo da marciapiede, come Jon Voight.
Metti in garage la tua Diana e prendi i primi treni, senza rimborso spese, fai quello che ti dicono.
Il viaggio più lungo che avevi fatto prima, un'estate a Riccione, al Cocoricò. Ti portano in un set fotografico, in tutto un paio di scatti, che poi finiscono negli studi giusti.
La tua piccola Agenzia ha un tizio, che su di te ci scommette, ti trova una stanza a Milano. Il primo giorno ti perdi in metro e manco arrivi al set.
I giri sono quelli, ogni sera il tuo appetito provinciale trova ristoro nei buffet di polvere e di seni penduli della Milano più avvizzita. Ti scopi le vecchie, o quello che ne resta e le cose iniziano piano piano a spianarsi.
I primi viaggi, i voli: Europa, non guadagni molto, ma sei spesato: soldi e droga, e quelli portano donne, più di quante puoi contarne.
Ti danno sempre qualche pacchetto, da portarti dietro nei voli e da consegnare agli autisti, che ti aspettano al gate, qualche bustina che non apri mai. A te interessa come ti senti in quella vita, non farci i soldi.
Pian piano iniziano ad affiancarti Alfonso, di Brescia, è più vecchio di te, un modello anche lui e ti accorgi che è la tua ombra.
Hai ventitre anni, quando ti beccano, a Marsiglia, dove si può far di tutto, ma non esser beccati per droga.
Sei poco fuori dall'aeroporto, ti seguono e trovano i pacchetti nel doppio fondo della tua borsa da palestra, a colpo sicuro questi vermi francesi, intuizioni per nulla frutto del caso o di talento investigativo: il cane, non si era neppure mosso.
Con un italiano non saranno leggeri, finirò dentro. Ti danno un avvocato, un cretino senza giacca, uno che si presenta in polo, quello si presenta in polo, santoddio.
Fai la tua chiamata e a casa non rispondono, i tuoi sono nei campi, la vendemmia. Non te ne concedono un'altra, perché dovrebbero.
Qualcosa non torna, con l'avvocato non vi capite, parlate di fretta e non vi capite. Ti riesce solo a dire di stare calmo, che devi passare lì qualche notte, poi tutto andrà a posto.
Un paio di giorni si, ma si mette male, sei l'unico bianco nella cella di sei immigrati, negri alti come pali della luce, sono le tre di notte del terzo giorno, quando devi per forza chiudere gli occhi, reciti a te stesso che, di lì, non ne esci vivo.
Il processo è breve, una mattina di pioggia, non parli neanche, prendi tre anni senza condizionale. Ti mettono in una cella di gente che non uscirà mai, ti senti fottuto. La prima notte di definitivo, ti rompono i denti a bottigliate, per fartelo succhiare senza problemi.
Qua dentro ci sono delle bestie, carne da macello, tutti minimo hanno ammazzato qualcuno, molti han l'ergastolo, è solo un gioco di spazi, ma tu non ne hai, di spazio, non hai diritti, quindi sei loro proprietà.
Ti violentano ogni sera, poi iniziano anche di giorno, ti si passano come una sigaretta, nelle docce, in giardino, lavanderia. I detenuti non parlano di te, dopo un pò non si girano nemmeno più dall'altra parte.
Quando sei solo, pensi ai tuoi titolari, ti hanno venduto, hanno fatto loro la soffiata. Han beccato te, con quei pochi grammi, così è potuto passare Alfonso, con un chilo, forse due, di coca. Sei stato l'agnello sacrificale, parte del gioco, carne da macello e ora paghi, con un asciugamano in bocca e le sigarette spente sulla schiena.
Merce di scambio, carne da macello.
Dopo un pò impari a rilassare bene lo sfintere, impari che avere un corpo non è davvero così importante, ti trovi a vivere altre vite, altre epoche, diventi un'astronave tra le stelle, che vive storie di altri, in diverse epoche e paesi lontani, ma mai lì, mai più lì...
Al rientro da quei viaggi ti trovi sempre più strano, non ti importa più: di succhiare un cazzo o tagliare un nuovo arrivato con un vetro, per un pacco di sigarette. Persa ogni sembianza di quel che eri, ti lasciano finalmente stare.
Dormi la prima notte serena, dopo otto mesi esatti. Non interessi più, sei solo parte di quel posto, come i lavandini e le macchie di caffè sul pavimento. Ora puoi stare in palestra, ogni giorno, almeno quattro ore, muti corpo, diventi un altro, Roberto muore del tutto.
Sei dentro da un anno e mezzo, quando l'avvocato di Roma che hanno mandato i tuoi, comincia a parlare di riduzione di pena, non sei certo intelligente, ma qualcosa là dentro hai letto, e capisci che, di per se, è una possibilità reale.
14 novembre, esci, il giorno dopo sei in Italia, il giorno prima della fine del secondo anno.
Sei tu, non sei più tu, conoscenti per strada non ti salutano, hai messo venti chili di massa, hai perso i capelli, dimostri quindici anni in più.
Come un pupazzo drogato, ti trascini sulla solita scala, è come entrare l'ultima volta dentro la vecchia fidanzatina: non ti dà piacere, solo distacco.
Ti siedi fuori dal ristorante "la graticola" e accendi un MS spiegazzata. Ci starebbe di piangere, ma non ci riesci, appoggiato al tavolino.
Carne da macello, esce dalla tua bocca, scritto col fumo.
E allora ti ricordi, dove hai hai lasciato la vendetta: nello stesso posto in cui hai nascosto una katana.