venerdì 2 maggio 2014

Cassetto n°127

Una cosa sulla morte l'ho scritta, me la ricordo bene, ero in montagna, d'estate, coi miei genitori, montagne e boschi e sole, insomma, un pomeriggio andammo a funghi.
Che poi in montagna mi son sempre successe le cose peggiori: denuncia per pesca di frodo, vespe assassine che mi beccano sugli occhi, ma sopratutto la vicenda dei funghi, poi per forza che uno preferisce il mare, comunque la vicenda dei funghi fu la prima in assoluto in cui toccai la morte.
Ero coi miei quel pomeriggio, tenuti per mano e condotti da esperti della provincia di Belluno, consegna: raccogliere tutto ciò che era nel catalogo del corso micologico. 
Alla fine, dopo una lezione teorica, si sarebbero scelti i funghi buoni, scartando insieme quelli velenosi.
Ci si divideva in gruppetti, scarpinando su per sentieri arroccati e pareti non poco in salita del bosco. 
Di solito odiavo queste fatiche gratis, ma quella sfida a gruppetti, mi piaceva, non poco.
Ricordo che ne raccogliemmo più di chiunque altro. Io ne ficcavo di continuo nel cesto, ne staccavo anche tre alla volta: eccone uno, un'altro un finferlo, quello è un finferlo! In particolare trovai un porcino clamoroso sotto al muschio sollevato, ero Maradona dopo un goal, ero Reinold Messner sul Nanga Parbat. 
Arrivati dagli esperti della ProLoco, ci beccammo pure i complimenti:
- Ma che bel cesto pieno, e quel porcino: se ne vede uno all'anno, così
I nostri funghi erano praticamente da trofeo, tutti commestibili, se non addirittura pregiati da cucinare. 
La sera stessa, oltre al tesserino di esperto raccoglitore, del valore di un cazzo e mezzo, ci portammo a casa tutto il necessario per una bella spadellata in compagnia.
Mio fratello e mio babbo, che erano stati a giocare a calcio, non mangiarono i funghi, non ne avevano voglia, Luca probabilmente solo per non darmi la soddisfazione, mio babbo, invece non li mangia mai, io  e mia mamma ci buttammo sui piatti con gran foga.
- eh son proprio buoni questi, mica come quelli dei supermercati da noi.
- boh, a me sembrano uguali...
Poi faceva terribilmente caldo, c'erano i mondiali del '94, Roby Baggio si scaldava, ignaro di star per uccidere una nazione intera col suo rigore sbagliato, la tv dell'appartamentino in affitto, proiettava solo colori sfocati, e mentre mio babbo bestemmiava , mia madre cominciò a star male. Prima caldo, una veloce febbre e l'immediata sensazione che quei funghi c'entrassero parecchio.
Io stesso non stavo bene, vomitavo, vedevo le pareti muoversi, nausea, nausea e dolori allo stomaco.
I funghi, i funghi del cazzo
Mio padre ci prese, con mio fratello che rideva come un coglione, e via, verso il Pronto Soccorso, io sudavo sudavo, mia madre pareva dormisse, si era assopita appena appoggiata al sedile. 
Quelle montagne divennero enormi cattedrali, lugubri, io avevo bisogno di casa, salsedine, dell'aria da quattro soldi delle nostre spiaggette deturpate.
Ci misero su due barelle, in urgenza, lavanda gastrica e flebo per me, e bere acqua acqua acqua. 
Mi fecero bere finché non mi uscì dal naso. Mia mamma, non sapevo dov'era.
- Suo figlio sta bene,  per sua moglie la cosa è più seria, deve averli mangiati lei, i pezzi grossi, per fortuna, o il bimbo non ce l'avrebbe fatta.
Non è facile sentirsi un sopravvissuto, alla propria madre, sentire che forse quel fungo di merda, nato sulla montagna di merda, per finire nel nostro cestino, non scartato dai coglioni della Proloco, in bocca a mia madre, forse l'avevo messo proprio io. Non si uccide tutti i giorni, una madre: era una faccenda complicata.
- Dobbiamo vedere come reagiscono i reni, se non lavorano, se vanno in necrosi, è un problema.
E sti reni, cos'erano, dove stavano, e perché non si facevano il loro cazzo di lavoro?
Io, sei ore dopo, ero in piedi, mia mamma stava sempre peggio, in rianimazione, tutta intubata, in un sonno chimico potente, la vidi così e poi la tolsero da dov'era, analisi.
Notte, buio, montagne.
Erano già trenta ore di ospedale, quando mio padre ci portò a casa a fare una doccia, o meglio all'appartamento preso in affitto. Arrivati, vidi una cosa che non avrei mai più rivisto: mio padre steso sul letto, a faccia in giù, faceva dei rumori, sembravano borbottii, singhiozzi, sibili. Sembrava un animale sbranato da una pallottola, poggiato lunghissimo e ferito. Piangeva come un bambino. 
Presi mio fratello e lo portai in cucina. 

Non riuscivo a togliermi dalle orecchie il suono di quel pianto, era troppo vero, troppo fastidioso. Cominciai a capire che la vita era una cosa seria.

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