venerdì 28 febbraio 2014

Cassetto n°120

Già troppi anni fa, David Foster Wallace scrisse qualcosa di perfetto a proposito di una cosa divertente che non avrebbe fatto mai più, e aveva ragione. 
David fu invitato a partecipare a una crociera d'extralusso per la upper class americana. 
Il clima di sospensione del tempo e l'atmosfera da "anticamera della morte" fisica e spirituale che si respirava, lo toccarono fino a spingerlo a produrre uno dei libri più ironici e spietati degli ultimi trent'anni.

Entro alla Conad, devo prendere almeno la pancetta, lo Scottex e il latte, ma tanto so che qualcosa lo scorderò.
Il weekend scorso l'ho trascorso partecipando a una convention che, in qualche modo, ha rievocato in me quella lettura wallaciana  di atmosfera e rarefazione estrema.
La mia compagna lavora da un anno per una ditta di prodotti per il benessere sessuale e sexy-toys, già da tempo mi aveva chiesto se l'avrei accompagnata alla convention annuale della sua ditta, l'atmosfera degli alberghi e delle riunioni commerciali low cost mi ha sempre attirato, perciò accettai immediatamente. 
Arriviamo nel pomeriggio del giorno stabilito all'albergo: un quattro stelle con annesse terme, edificato attorno alla sospetta fonte termale di Abano Terme, come ogni altro albergo, lì intorno. Già nella hall l'odore inconfondibile si propaga, per quanto mascherato da diffusori ed essenze su ogni tavolino: è uovo marcio e zolfo. 
Entriamo nella stanza, è caldissimo, qua non riscaldano con caldaie, fanno entrare l'acqua termale direttamente nei termosifoni, in tutto il paese, praticamente, nessuno paga la bolletta. Si suda e basta. Moquette blu ovunque, sempre pulitissima, sotto i piedi nudi non posso che sentirla, mi procura le convulsioni, ho dei problemi con alcuni tessuti sintetici, ma, storia mia.
Usciamo per andare a conoscere gli altri, l'aspetto maestoso ed appassito dei grandi vasi di fiori finti, delle vetrine di liquori, delle divise inamidate del personale, tutto mi pare concorrere in un equilibrio decadente praticamente perfetto.
(Si fa una breve camminata nei paesi vicini, ad Arquà Petrarca l'aneddoto del Cassetto n°118, e comunque torniamo in due ore)
Credo che alle terme, nel nome del benessere e del giovamento, si accettino, anzi, si comprino, le peggiori sevizie dai tempi antichi più bui. Vedo uomini adulti, moderatamente adattati in società, presi dal morbo del salutista termale, che si farebbero scoreggiare direttamente in faccia dall'addetta dei massaggi, meglio se dietro esenzione ticket del medico di base.
Facendo slalom tra anziani svizzeri e tedeschi, che vivono in accappatoio da mesi, esibendo dermatiti come ferite di guerra, fotografo le statuette di Venere, oramai consegnate ai viscidi muschi e licheni delle pozze e comincio a prendere confidenza con l'ambiente. 
La mia ragazza è impegnata nelle riunioni e nei serrati incontri a tema, io mi barcameno tra le iniziative in cartellone (corso di bondage, danza del ventre e una quindicina di seminari) mentre perdo tempo per le piscine, preso dalla deliziosa noia da camera d'albergo. 
Non chiedo davvero di meglio: le camere di albergo che proteggono dal mondo, ma nonostante tutto, gli umori sono ancora rattrappiti, i discorsi a tavola lo dimostrano:

- ...e che lavoro fai?
- l'urbanista
- l'urbanista? Quindi sei laureato in architettura, sei architetto?
- No, sono urbanista, laureato in architettura

Nessuno vuole entrare troppo nell'intimo per ora, non sanno perché io sia qui, ma sanno che osservo troppo. La teoria a me pare più: siamo tutti consulenti, anche chi, come te, non lo è ancora, deve ricevere un'adeguata formazione, assorbire la missione dell'azienda. Ma se non sei qui per vendere potresti almeno dirci cosa diavolo ci fai? 
- Nessun motivo in realtà, accompagno lei...
Si inizia già a parlare di una sorpresa conclusiva, non capiamo che cosa si stia preparando per noi: una performance? La presentazione delle più assolute novità in campo? Nulla, non trapela nulla, ma la cosa assume pian piano confini da segreto di Stato. 
Il buffet riciclato, la cortesia assonnata degli incontri nella sala da pranzo, il tutto si innesta nel mio bioritmo piuttosto velocemente, tra una capatina nella grotta del fango e mezz'ora di stretching in palestra, mi sento vivo. 
Mi accorgo che, in questi tre giorni, non uscirò mai dall'albergo, il solo sforzo di consegnare le chiavi in reception e indossare il giubbotto, per affrontare la nebbia padovana, mi pare ormai intollerabile. 
Rinuncio mentalmente agli ispirati trekking urbani e alle visite enogastronomiche colte che avevo programmato, per mantenermi vivo mi riparo tra i vapori sulfurei e mi abbandono al destino dell'uomo in hotel termale: essere una merda. 
Lo staff della ditta è simpatico: energiche signore di mezz'età, perlopiù del basso veneto e del bresciano-milanese, ognuna con una specializzazione diversa. Si va da commesse con la vocazione per il sesso anale ad appassionate della riabilitazione perineale: tutto molto interessante, le cape sono due instancabili bellunesi, avvezze al public speaking e al marketing più virale, gradisco molto l'accento diretto delle loro argomentazioni, la totale assenza di boria e doppisensi.
I pasti sono continui, contengono sempre le stesse pietanze, invertite, reinterpretate, mescolate, non importa più nulla: a un certo punto ci si trova solo a masticare, parlare, organizzare, scambiarsi i contatti, ma sopratutto a masticare. 
Siamo trattati dai camerieri come erbivori senza intelletto, non paiono gradire troppo il cliente da convention, perché parla a voce alta e non li lascia servire in pace, troppo preso a gesticolare per accorgersi del loro prezioso contributo. 
Data la totale assenza di iniziative turistiche nella zona, la sera vengono offerti diversi giri di spritz, ne beviamo persino uno a mollo nelle calde acque termali, lo show è continuo, siamo noi stessi a costruirlo. 
Le coppie più rumorose e frizzanti, paiono proprio quelle sposate da tempo, euforiche per aver lasciato i quattro figli ai nonni e comunque ancora un po' in dovere di mostrare un'invidiabile vita sessuale e un'intesa fulminante da primo appuntamento. Personalmente li adoro.
La mia rilevazione più alta si ferma, però, nel sondare la differenza negli spritz preparati dai vari baristi. Universi davvero diversi.
Si innalza, benevolo, un alone di sospetto sempre più pesante intorno alla mia figura: si intuisce che voglia solo scrivere di questa esperienza, e si intuisce bene. Mi ci si rivolge sempre con tatto ed estremo distacco, come a rassicurarmi, che qui va tutto benone, che sono libero.
E come potrebbe non andare: il conto della camera e la mia incredula partecipazione al programma, crescono di pari passo, mi lascio cullare dal ventre brodoso dell'albergo, che, come un tiepido ventre materno, spinge a non chiedere nulla, ad accoccolarsi nelle bende pulite e a lasciar passare il tempo scoreggiando come mucche beate nel proprio fetore.
L'ultimo giorno, dopo la presentazione di progetti di profilo più alto, arriva il momento della sorpresa: un'enorme tavolata imbandita delle più tecniche ed ingegnose novità dal mondo dell'accessoristica sessuale mondiale.
Le consulenti esplodono, si avventano, commentando ogni accessorio, sulla tavolata, toccandolo, provandolo, scattando foto che inviano ad indirizzi sconosciuti e lontani, si lanciano in discussioni sulla commerciabilità o meno di ogni singolo pezzo.
Un'edulcorata distesa fallica in silicone rosa confetto, lingue rotanti, carezze chimiche, un mondo ergonomico ed accessibile che toglie ogni pensiero. A me fa tenerezza vedere questi abbracci inscatolati. 
La chiarezza con me stesso, l'acme esperienziale, lo raggiungo solo maneggiando il palese tributo alla vagina, celato ma non nascosto, in una lattina di birra svitabile, ovviamente di marca sconosciuta in Italia.
Io amo le persone che vogliono sentirsi meno sole, che non si abbandonano sugli sgabelli, che sanno ridere e scherzare dei propri limiti, che sanno inventare cose buffe, per pensare che non tutto vada male, con lo sguardo sempre attento al mondo e uno spritz accanto. 
Penso di esser uscito rigenerato da questa esperienza, umanamente dico, davvero pregno.

- Pensa che genio quello che ha inventato le ali degli assorbenti, vanno via come il pane.
Mi ero incantato sulle mani del commesso della Conad, appoggia le scatole di Lines Ultra sul nastro della cassa e mi porge lo scontrino. Ha lo sguardo di uno cresciuto bene, mi fa bene vederlo, fanculo se pensa che sia pazzo. 
- Ah si scusi, ora pago, stavo ancora pensando al weekend


domenica 23 febbraio 2014

Cassetto n°119

Sogno di cadere da una lunga rampa di scale. 
Anche pochi minuti fa, prima di mettermi a scrivere, come tante volte è arrivata, nella prima fase dell'addormentamento, la solita sensazione: cadere.
è un sussulto che mi sveglia e poco dopo è un pensiero, o meglio la netta e velocissima sensazione fisica di stare cadendo. 
Perché? Non ricordo nulla di traumatico nella mia vita, un colpo di sonno che mi portò a distruggere la macchina in un fosso, tre anni fa, senza conseguenze per me, ma mi svegliai proprio mentre le ruote anteriori si staccavano dall'asfalto per cadere nel vuoto. Mentre ero in volo direi che la paura era già scomparsa, pensavo al danno economico, il fosso era profondo, ma non sarebbe stato mortale, era tutto nell'attimo prima. 
Controllo, vista, sorpresa, buio. Non riesco ad individuare altri eventi che potrebbero aver aperto questo buco in me. Eppure il cadere ora è un po' una sensazione costante. Quasi una volta al giorno ho l'immagine, anzi, la sensazione, di stare cadendo: balconi, sentieri sul vuoto, ho molti problemi col vuoto, in questo periodo. Prima non c'erano, non so se indicare l'episodio dell'auto come responsabile, lì forse, me ne sono solo reso conto. Un vuoto che, tra l'altro, non cerco, e davanti al quale non necessariamente provo ogni volta tutto questo. Nel reale, le cose si complicano se parliamo di pensiero.
Proprio l'altra sera, al CISIM, un locale gestito da alcuni amici, abbiamo commentato un documentario. Nella pellicola un uomo chiede a un regista di seguirlo per filmare il suo suicidio. L'uomo è attratto dall'idea di gettarsi da grandi altezze. Ora non credo che riuscirei mai a suicidarmi, ma se dovessi provare, quello sarebbe davvero un tentativo che fallirei.
Non riesco a non pensare al momento del distacco, il salto, il lasciare il supporto fisso per abbandonarsi al vuoto, a me il vuoto non attira. 
Anche il colpo di pistola, non torna indietro una volta premuto il grilletto, anche il cappio, non si allenta se fatto scorrere dal nostro peso corporeo, eppure credo di attribuire alla caduta un grado di incontrollabilità sempre maggiore. Mi spaventa, solo e soltanto, quel lasso di tempo in cui effettivamente si sta cadendo, perché il prima non esiste, e anche il dopo non è importante, e nel mentre, non si può più scegliere.
Spesso immagino di cadere all'indietro dal punto più alto di una alta scala, è una scelta troppo anticipata rispetto all'esito, infatti credo che il volo, alla mente umana, paia davvero interminabile, tante volte mi son trovato a guardare su YouTube la caduta disperata delle persone intrappolate sulla cima delle Twin Towers in fiamme, compassione per l'assurda scelta di buttarsi per "salvarsi". Io sarei certo bruciato là dentro.
Sogno di cadere da una lunga rampa di scale, è una parte del monologo inserito ne L'Esorcista II, un film molto meno riuscito del famoso predecessore, ma comunque pieno di strani spunti, la maggior parte dei dialoghi col demonio, stavolta, avvengono nella cella di un manicomio, al centro di cui, a una certo punto, emerge persino un giovane crocifisso ai remi da canoa.
C'è qualcosa nel vuoto, che prende e risucchia, l'assenza del supporto, non vedere più sotto e l'odiosa, brevissima attesa che accada qualcosa, nella fattispecie lo schianto: mentre si sta cadendo, forse intimamente, si spera di anticiparlo, mentre la gravità chiude il suo patto col nostro peso, nel quale non abbiamo nulla da dire.
Già mentre ne scrivo, le sensazioni scemano, fatico a trattenere il senso di quello che volevo fermare qui, descrivere.
Mi pare qualcosa di più irrazionale, letterario da trattare, eppure poco fa sarei stato certo di poterlo fare.
Non ho istinti suicidi, non cerco la reale sensazione mettendomi alla prova.
Poco tempo fa parlavo con un ragazzo giovane e intelligente, che mi ha descritto molto bene la sensazione di avvicinarsi al bordo delle cose. Nel suo caso parlavamo in senso molto metaforico, la paura di stare nel, vicino al limite, di sfidare quella linea, la paura di non saper mantenere la distanza giusta, la separazione e la sensazione che gli impulsi violenti potessero ritorcerglisi contro, di perdere il controllo e oltrepassarlo.
Devo dire che è un discorso che capisco molto. La mia formazione suggerisce il concetto di ansia, insicurezza, eppure la forza di quel vuoto e la sua totale incapacità di presentarsi in termini spiegabili, di formare un pensiero, mi rende difficile astrarre gli episodi in cornici più ampie.
Ho un profonda ammirazione per chi riesce a gettarsi nel vuoto, sia per sport estremi, sia per farla finita.
Nel documentario dell'altra sera, Richard, il protagonista, si sporge continuamente da torri, ponti, grattacieli e alti massi a picco sul mare. Credo che Richard però avesse paura di morire, che non è propriamente la paura di buttarsi.
Chi riesce a dialogare così profondamente col vuoto, a scalare, per esempio. Mi pare una qualità tra le più preziose al mondo, un po' come il fobico invidia a morte l'oratore. 
Io fuggo questo vuoto e lui viene a cercami, da dentro, nel letto, sopratutto da steso, mentre penso ad altro, mentre non mi sto preparando, mentre forse davvero non sto pensando.
Avevo introdotto a quel ragazzo il concetto di barriera, di mettere un corrimano in ferro, solido e piantato, davanti a quel baratro mentale, per aggrapparcisi, per avere un punto di contatto e guardare davvero giù.

Solo adesso mi rendo conto di che sciocco e sbruffone ero.

sabato 22 febbraio 2014

Cassetto n°118

Di solito non parlo di fatti accaduti a me in prima persona, ma oggi me n'è capitato uno che merita attenzione così com'è.
Sono a duecento chilometri da casa, passeggio per un paesino dei colli Euganei: Arquà Petrarca, le stradine ciottolose in salita convergono tutte in una piazzetta, che è più che altro un crocevia di strade sotto un loggiato. Il paesino è un piccolo insediamento di vecchie case in mattoni inserito tra i "borghi più belli d'Italia" e qualche bar e negozio di prodotti tipici, buono solo per turisti.
Vi consiglierei di provare il liquore al brodo di giuggiole, se passate di qua, è buono ma sappiate che contiene anche succo di melograno e almeno altre tredici cose.
Sono qua nelle vesti di turista, la mia ragazza, invece, in veste di partecipante alla convention della ditta di vendite online per cui lavora.
Il centro è deserto, ma gironzoliamo le poche vie principali, non siamo praticamente mai d'accordo su qualche via imboccare, io preferisco le salite, lei giustamente no. 
Non so perché le salite mi danno sempre l'idea di meritare il meglio. La casa del Petrarca costa 4 euro a testa e non pare valerne decisamente la pena.
L'albergo, a venti chilometri da qui, ha le terme interne, quindi l'idea di un bagno prima della regolare chiavata e della cena a buffet nel salone, ci alletta molto.
Poco prima di tornare alla macchina, le chiedo di svoltare per una viuzza obliqua, lontano si vedono due ragazzi soli, fuori da un'osteria, seduti su delle botti, poi non si vede nulla perché la via è davvero obliqua rispetto alla nostra posizione. Non li noto particolarmente, rilevo il loro abbigliamento molto alla moda a dispetto del contesto bucolico in cui ci troviamo.
Pochi passi a zig zag in avanti e succede quel  qualcosa di quando registriamo un volto noto, il riconoscimento avviene per fasi velocissime e dirette, ma a tratti per nulla fluidi. Parto dalla sua montatura degli occhiali,  tondi in osso: design tra il vintage e il fighetto. 
Mi trovo davanti un ragazzo conosciuto a Poet's Hostel di Porto, sei mesi fa. Dividemmo una camerata da 8, parlando un po' di libri e fumando qualche canna nel terrazzino, per due giorni. Lui era in viaggio col fratello minore, io cercavo di rilassarmi un pò come turista, cosa che fatico sempre terribilmente a fare. Un ostello che impiegai un'eternità a trovare e più di una volta fui sul punto di scartare. Siamo i soli in questo paesino visitato come deviazione stradale, in modo totalmente causale, in questa via imboccata in modo altrettanto estemporaneo. 
Mi riconosce subito anche lui, passando le stesse veloci fasi di cui parlavo prima, stupore di noi due, sguardi stupiti delle rispettive accompagnatrici. 
Non è difficile passare dal - ma porca troia, pensa te! al - beviamoci su qualcosa
Ci spostiamo sul retro, in un giardinetto interno che dà sui colli, dove l'oste ci appesta con infinite descrizioni dei vitigni dei suoi vini e delle inaspettate difficoltà coi fornitori insite nel suo mestiere.
Si brinda e si fuma la sigaretta e dopo le presentazioni di rito, ci si trova a parlare ognuno dei propri cazzi.
Il posto è carino, i tavolini orrendi, e mi accorgo di concentrarmi soprattutto sui tavolini e sulla mia voglia di andarmene.
Io lavoro, lui è dottorando a Bologna, la mia ragazza studia e lavora, la sua ragazza va a Berlino in Erasmus di filosofia.
Fine.
Rifletto sulla stranezza di aver incontrato Andrea, ragazzo che anche a Porto mi aveva colpito per intelligenza e spirito, ma al quale ora, fuori dal contesto vacanziero, non so davvero più che dire. L'incontro era già completo nel momento dello sguardo, questa è la verità, nessun bisogno di dare un senso al caso.
Ho un pessimo orientamento, ma perdendomi, mi capita continuamente di fare di questi incontri, tanto da chiedermi quante cose non vivrei rispettando ordine, liste e mappe.
La casualità con cui continuo ad incontrare qualcuno torna sempre a stupirmi, ricordo che mi pareva assurdo, già alle medie, aver incontrato sulle Dolomiti, l'unica compagna di classe con la quale non avevo mai parlato. Ma ci si abitua in fretta a ragionamenti che non condurrebbero a nulla e ci si saluta augurandosi di rivedersi, cosa che non avverrà praticamente mai.


Queste sciocchezze non avvengono per nessun motivo particolare o senso misterioso, capiterà due o tre volte nella vita: intrecciamo casualmente la strada di persone con la quale abbiamo già intrecciato la strada altrettanto casualmente. Non c'è alcun mistero, vale la pena di prendere questa cosa come conseguenza della collocazione limitata di un corpo in uno spazio limitato: il mondo, e questo è tutto quello che mi sento di dire per ora sull'argomento.

sabato 15 febbraio 2014

Cassetto n°117

Ho ritirato quindicimila euro, in contanti, alla mia banca il Credito Cooperativo, appena ha aperto stamattina e me ne sono andato a cercare Giulio, per proporgli un fatto.
Accarezzavo l'idea di una colazione corposa fin dalle prime luci del mattino, ma una volta davanti alla vetrina delle paste del Caffè Farini, lo sguardo mi si è spento: plastica, sono solo di plastica le cose qua.
In un altro bar fuori un uomo con un molosso enorme al guinzaglio ostruisce lo specchio della porta, Buongiorno!
- Ha visto che cane?
- Ho visto, bello
- Si, ma ha visto che cane?
- Ho visto, bello
Sento che potremmo continuare così per ore, quindi gli faccio sereno il gesto di spostarsi, giusto un pò, e lui esegue, la bestia ringhia, lui emana colonia di ottima qualità.
Un bellissimo cane, ma non voglio perdere il filo di quello che devo dire a Giulio, una cosa davvero pazzesca. Mi volto e rivedo il cane, ma non è poi così bello, è uno di quei grossi cani dalla testa enorme che riempiono il mondo di bava a spessi fili che ondulano nel vento.
Riparto per il mio giro e davanti alla stazione ecco Giulio, tutte le parole si affollano, devo partire col piede giusto e dirglielo subito, in verità però lui sembra seccato di vedermi.
- Che ne dici se ti offro la colazione, Giulio?
- No, non posso, sto aspettando Simone, quello del liceo, ricordi? Scende oggi da Milano Mi dice
- Non c'erano Simone al liceo, mi pare
- Ma dai, Simone Spighi: golfino a rombi, allevava canarini nelle cantine del suo palazzo, poi un giorno gli sparirono tutti e lui andò via.
- Si, ora ricordo, ma quello era Luca Bezzi, il ferroviere.
- Ti sbagli, era Simone Spighi, ricordo bene d'estate montavano sempre la piscina nel suo giardino e un giorno, là dietro, mi trombai sua sorella
- Va bene, allora la faremo domani. 
Proseguo il cammino e passo dai giardini Speyer, la giacca ben aperta, ho voglia di farmi derubare, la busta coi soldi esposta all'aria, accarezzo le mie belle banconote oh si si, prendetele.
Penso a Luca Bezzi, o Simone Spighi che sia, e arrivo in piazza San Francesco, tra una pozza di vomito e la tomba di Dante Alighieri, l'illuminazione è sempre accesa. Tanti euro
L'idea che avevo pensato di dire a Giulio già mi pare in realtà, una mezza cagata, meglio non averla detta, che a star zitti tante volte...
Il tunisino è veloce, passa il pacchettino, io i soldi. Gli mostro di sfuggita tutti i miei risparmi, casomai li volesse, ride imbarazzato e soffia fumo dal naso. ma non li prende, prende me per pazzo e basta. Si allontana scuotendo la testa e ancora ride. Dio quanto vorrei battermi per qualcosa.
Sono in piazza Caduti, sotto il palazzo della Provincia, alzo la testa e c'è la mia finestra: 30 anni seduto là dentro, a smistare pratiche, non vorrei, ma ci ho lasciato molto.
Quando stavo là dentro, otto ore ore al giorno, credevo che non avrei mai odiato nulla come quel lavoro. Con tutto il cuore, eppure per qualche attimo, sento che potrei stare lì dentro ancora un giorno, anche su una mensola. Era un mondo piccolo, quello del lavoro, poi c'era Camilla.
Lei era il mio capoufficio, facevamo l'amore spesso e bene, nel suo appartamentino alla darsena, dopo il lavoro, poi mi preparava il pranzo ed un caffè, fumavamo. Cristo, era dolce il ritorno a casa, dopo. Eran neanche le quattro, ed ero già un uomo fatto e finito, in pace con tutto e con la pelle del pisello attaccata ai boxer. Penso che sia stata solo Camilla, la ragione della mia carriera in Provincia, insieme alla mia fretta.
Prendo le cartine corte e un caffè.
Fuori, sul parabrezza di un'auto han scritto col dito: siete morti: han ragione.
Io capisco perché sta città, Ravenna, la chiamavano la triste, ma a me piace, senza un motivo particolare. Mi ricorda Camilla, e quei ritorni a casa, sognante, a grattarmi di tutto.
Ogni mattina esco, ritiro tutti i soldi che ho e prendo la via, pensando di farmi fuori o di prendere un treno per chissàdove, che succeda qualcosa di assurdo, rocambolesco. Poi una forza ottusa mi riporta al mio appartamento. Sempre alla stessa ora, alle dieci: è l'abitudine.
L'abitudine è il mio orrore, l'ordine, la prevedibilità, non credevo sarebbe stata tanto atroce e scontata, la mia vecchiaia.
Sono le dieci ormai, che è un'orario che comincia ad essere piuttosto critico, perché dalle dieci, di solito non succede più niente per tutto il giorno e torno in banca, rimetto i soldi nel conto.
Mi sento già meglio perché inizio ad essere anche stanco, è stato sempre un mio problema pensare troppo, la mattina.

lunedì 10 febbraio 2014

Cassetto n°116

I segreti creano delle barriere tra le persone, e se hai intenzione di passare il resto della tua vita con queste persone, beh dovrai decidere quanto puoi confidare loro.

Preda:
Cammino per il lungomare
Quasi quasi allungo la camminata e vado a comprare il pesce, scendo a piccoli passi dal miradouro, il selciato è consumato, scivoloso e punto i piedi per non cadere. Le finestrelle triangolari dei muri in calce proiettano una luce diretta, il mare è una coperta tagliente che abbraccia tutto. 
Qua non mi troveranno mai, il mio regalo di compleanno è questa nuova vita, è la benedizione che mi dedico ogni mattina.
Oggi, per un momento, la temperatura era perfetta, non ancora caldo, non più freddo e ho respirato l'aria più pura che mai mi sarà data sentire. Ho avuto paura, di stare così bene, se mi lascio andare non va bene. 
E' bello scendere seguendo le linee dei tram, trattare la merce, il pesce è ancora abbondante, ci sono acque inesplorate. Mentre i pescatori scambiano pareri sul vento, i militari ritirano i pacchi di viveri, pacchetti di sigarette, tra le signore della spesa e delle fazendas, i bambini, mandati a chiedere qualche aringa da mettere nel pane. 
Mi aggiro tra loro, nei miei vestiti larghi, senza fretta, la mattina è il momento più lungo della giornata.
Rotolo tra due dita una piccola foglia di tabacco, un colpo di lingua, per poi accenderla, dare due tiri giusti giusti e lanciare il mozzicone tra i gabbiani che si beccano in testa per gli avanzi dei gamberetti.
I bar aprono le porte frastornate di caffè, belle donne dai seni appuntiti e dai golfini sgargianti color porpora, giallo e verde smeraldo sulle porte, invitano ad entrare, a lasciare fuori la propria fatica e il fardello, e Dio sa se non ce l'ho anch'io un bel peso sulle spalle.
Sedici anni, incinta senza dubbio ha detto il dottore dell'Ospedale Centrale, non si può abortire troppo tardi. Nonostante l'assurdità della cosa una punta d'orgoglio preme da dentro. Sarò padre, ho parlato con Ninina, non parlerà mai e so che porterà il nostro segreto nella tomba, e nel tempo, mi occuperò di lei e del piccolo vedendoli crescere da lontano, provvedendo a loro. Come da lontano ho abbandonato la mia prima vita.
Un'azienda in fallimento a Varese, famiglie che non han mangiato, licenziati i loro padri, i capofamiglia a fondo, per colpa mia. Una gestione sconsiderata, che tenevo da anni per i soci, io volevo coprire i buchi, volevo rientrare, ma non sono riuscito.
La pensione Casanova qua, invece, va bene, piatto forte coniglio con patate all'italiana. Si ospita chi capita, turisti, studenti, militari, nessuno mai dall'Italia se posso.
Ho tre persone che lavorano per me, più Ines, la cuoca, un anno fa ne avevo millesettecento, non è più facile ora, è solo più chiaro, se lavoro bene l'attività ripaga, chiaro.
All'asta mi aggiudico una cassetta di ostriche e scampi, per poco meno di quello che sarebbero tre euro, stasera voglio festeggiare all'albergo, se sarò padre. Festeggerò dentro di me, e manderò delle rose a Ninina.
Imbocco la salita di Avenida Calassa con la cassetta in mano, un odore di bucato e mare mi prende i sensi, per un attimo sono felice, e come sempre, ho un immediato sussulto di paura.
Ed è subito il buio più buio che abbia mai visto. 

Predatore:
Cafè-bar dello Yacht club
Lo vedo passeggiare, come il più grosso gabbiano della banchina, ormai son giorni che appare qui: sereno, sicuro, sopratutto sano. Non è cambiato molto, ora ha solo i capelli più lunghi, ed è magro e abbronzato.
Non è morto, altro che tumore...
Mi avevano detto cercalo là, dalle parti di Avenida Còrdoba, ma arrivare qui è stata un pò più dura che dirlo, incrociare i dati: l'"italiano" era introvabile, in un paese che conta una concentrazione italiana più alta di Prato, era sempre un passo avanti  a me, aveva disperso le tracce, pagato pur di non esser visto.
E c'era quasi riuscito, per quattro anni.
Io, di buono, avevo il tempo libero, perso tutto il resto, mi restavano le energie dei miei quarant'anni e una lettera firmata dal Giudice del Tribunale di Varese:
- Troppo instabile per restare solo con i figli
e una raccomandata di un avvocato di Malnate:
- Richiesta di divorzio per le motivazioni elencate qui sotto
Allora ci si appoggia a qualcosa, per rialzarsi, si deve fare presa su un odio solido e dev'essere un'odio molto importante, che quasi ci si deve fare affidamento. Dev'essere un odio circondato da pini, da colazioni, un odio reale e sostenibile o ti spegne tutto, come un cerino.
Io l'ho imparato e il premio: l'incontro sudamericano, esplode proprio oggi, con tempistica perfetta. Leggevo il giornale, sorseggiando caffè bollente da un barattolo in latta e lo vedo scendere dal miradouro, mani in tasca e cappello bianco, il mio ex-capo, Barberi Alberto.
Le dita mi tremano, qualcosa esplode nel petto: felicità, emozione, rabbia...forse un'ostinata delusione non voleva ancora chiudere i giochi, voleva fosse ancora più difficile.
Afferro la mia borsa, lascio il resto sul tavolino e lo seguo, nascosto nella mia barba, negli abiti lerci che mi rendono invisibile da due anni, lo seguo da lontano, comunque. Un'ora di passeggiata e si infila in una pensione dal nome italiano, al limite di una lunga salita, le vie centrali del paese.
Pensione Casa Nova: piccolo peccato di superbia, è il cognome della madre: è il proprietario.
Quando crolla tutto devi restare concentrato su una linea, ordinato e preciso, farti la barba ed andare a lavorare.
Ora so dove alloggia, farò passare del tempo e chiuderò la partita appena l'occasione sarà propizia.
Un buco in testa, per un uomo che non merita la sua pace, la sua solitudine. Sono stupido, lo so, e non so neanche perché lo farò, dato che non starò mai meglio.
Ma non starà più vita per nessuno dei due, allora.
Cioè, Alberto, questa è la cosa più vera, semplice, che tu ed io abbiamo mai fatto. Tu, scappare e nasconderti e io, rincorrerti, senza compromessi.
Unica conclusione possibile, morte per tutti e due, fine, pace, calma e tramonti eterni.
Il primo giorno di caldo vero, quando monto il cavalletto del Gépard sul tetto del palazzo abbandonato che si affaccia su Avenida Calassa, per poco non rinuncio, ho paura di sbagliare, paura di chiudere. Questa viuzza è l'unico punto coperto nelle tre ore di passeggiata mattutina dell'ex imprenditore, o lo faccio qui o niente..
Dove le cose si incontreranno, dove finiremo entrambi.
Per ucciderti, ho scelto un bel giorno di sole, con l'odore di sapone di marsiglia che sale negli angoli acuti e bui dei palazzi, negli androni delle scale degli edifici.
Poi non ho progetti, piani di fuga o altro, poi aspetterò che accada qualcosa, forse andandomi a bere uno di quegli ottimi caffè neri che traboccano dalle grosse moke arrugginite di Plaça do Comerçio.
Ecco dove voglio essere quando verranno.