martedì 27 novembre 2012

Cassetto n°68

una folla enorme, ovunque, lo spingeva verso il magazzino
- parla bastardo! dove sono?-
- torturiamolo questo verme o si porta tutto nella tomba!-
lui era solo un ragazzo, lavorava al pascolo dei Kirckpatrick, avevano detto che le aveva prese lui. Dal giardino, si era fatto seguire con una scusa e quelle bambine erano sparite, da una settimana
- bastardo ti taglierò le palle con queste cesoie, fosse l'ultima cosa che faccio!-
lui alzava il capo, scuoteva la testa e osservava il sole, quella luce tagliava i profili dei pini, non l'avrebbero lasciato arrivare a sera
Alla piccola folla partita dalla contea si erano ora aggiunte persone provenienti dai villaggi vicini, in particolare da Melrose, un paesino di mille bravi figli e figlie scozzesi del signore. 
Un colpo tremendo sul collo e si trovò in ginocchio, le prime pietre e i loro tonfi sordi, tirate sulla schiena, ma alla testa ancora no, bersaglio vietato.
- parlaci! dicci almeno dove sono i loro corpi, e ti prometto che questi uomini ti lasceranno giudicare dallo Stato, ti scorterò io in persona davanti a un ufficiale!-

- signore vede io non posso...-
gli altri ora restarono a guardare: lui doveva parlare, arrivò da dietro un vecchio, alto. 
Quell'uomo si chinò per riporre gli occhi sottili nei suoi, aveva la voce più bassa e monotona che avesse mai potuto sentire. Ora quel vecchio gli stava accasciato a fianco, gli appoggiò una mano sulla spalla, pesante, e l'altra la tenne sul suo ginocchio, su quei vecchi pantaloni in flanella verde. Sospirando in un unico fiato, disse:
- sul tuo corpo non posso infierire, a quello ci penserà Dio onnipotente, tutto il dolore che posso infliggerti non potrà che liberarti, ma ora tu dimmi, dimmi solo questo...
prima, le mie bambine, le hai scopate? -
Il ragazzo non parlò, ma scattò verso il vecchio, per afferrarlo per cacciarlo, il suo braccio venne spezzato, troncato in due, quasi di netto, una trave calata dall'alto.
- l'inferno dopo ti sembrerà la parte migliore del viaggio, possiamo solo augurarti di morire in fretta, ma faremo il necessario perché ciò non accada-

il sole si era nascosto e giocava con la luna, timida, che quella sera faceva capolino dietro agli alberi.

sabato 17 novembre 2012

Cassetto n°67

-Porco cazzo! Dio cane!- mi scapparono due imprecazioni...fuori dalla chiesa, il cellulare mi era caduto lontano, sui sassolini del sagrato, odio novembre per partito preso.
Salii la scale, i muri gonfi d'umidità e mi sedetti in quell'ufficietto in simil radica, che stavo ancora pensando alla colazione saltata, quando l'altro iniziò a parlare: 
-hai paura della chiesa, questo posto?-
-ho paura del silenzio nelle chiese, di quel silenzio!-

Una figura sottile, il prete, odorava di cera. Era pronto, mi disse, a lasciare le cose terrene, solo che le sue mani erano aggrappate alla scrivania, mica tanto pronte.
-è normale provare rabbia, invidia, avere paura-
-padre, non mi fermo a pensare al bene, non credo lo farò ora!-
-ma cosa pensi di poter fare per questo?-
-ecco padre questo è il punto. Penso di non dover fare proprio nulla, sono troppo occupato a pagare la benzina, a schivare bambini sulle strisce e a portare la morosa a cena, una volta a settimana...-
-dovrai pur farti domande più profonde, no?-
-si, perchè vuole vedermi?-

La frase restò nell'aria, nella polvere sui libri, tra gli arnesi, le coppe, nessuna risposta. Ancora silenzio.
-io non ho risposte, padre, ho domande! Perchè cercare spiegazioni alla sconfitta? Lei finirà e non c'è nulla da scovare, nessun senso in tutto questo. Io qui mi blocco, non capisco più...-
-spiegami...-
-vede padre, se non riesco a essere padrone, io esco la notte in mutande, nel giardino a tre gradi e prendo tanto freddo...per non esser comodo. Da seduti il pensiero si assopisce, io devo muovermi affinchè il pensiero mi segua!-


Fuori era inverno, pestare di nuovo i sassolini fu una liberazione. Dietro le spalle lasciai un uomo, cose aliene a me, come si lasciano le sigarette a terra sotto le panchine, spensieratamente.

-buongiorno!-
La vidi in piedi, la donna che sorrideva tra sè e sè. Non feci in tempo e registrarne il viso che lei entrò nella porta, leggera, sembrava l'unica cosa che avesse mai fatto. Entrare

lunedì 5 novembre 2012

Cassetto n°66

Quanti anni son passati da quelle zucche, amico mio, fratello? Cioè era un pò tutto come adesso ma non ricordo quanti anni...cinque, sei? Eppure è ottobre e siamo ancora giovani, eppure ci rivedo in quella foto. Altre donne, vestiti diversi, qualcuno lo abbiamo ancora indosso, ma noi poi siam sempre gli stessi: denti, capelli, occhi e giacche.
Cazzo vecchio! Ancora qui, forse eravamo più felici, meno pesanti di sicuro, ma mi fa piacere scriverlo adesso, che è un pò come esserci lasciati in quella foto, ieri sera.  Relativo quello che sentivamo, relativo quello che sentiamo ora, eravamo solo un pò affamati e infreddoliti, ricordo che si sorrideva, che ci si divertiva abbastanza, con la solita fretta di tornare a casa,  nella foschia e di andare per colline.
Avevamo parcheggiato lontano, quella volta, ma era un prato, in basso, una buca verde, umida, dove la notte si sognavano le ragazze, sempre diverse dalle nostre, era un cercarsi per la nebbia delle strade, i paesini che scoppiavano e zucche intorno, odori dolci, ubriachi, erano tutti a casa, tutti tranne noi.  
Che era poi tutta una casa, un inizio continuo e non contare i passi e non risparmiare niente.