martedì 22 luglio 2014

Cassetto n°135

Dietro alla piadineria, vicino al deposito dei mosconi abbandonati e da riverniciare, su un supporto permanente, hanno affisso un cartellone: Serata di gala, fuochi d'artificio e brindisi all'estate, la notte da non perdere. Da mezzanotte. Ora, non ho notato subito il cartellone, ma è da due giorni che ci passo davanti e oggi mi ci son fissato a guardarlo, è tutto nero, al centro un grande fuoco d'artificio un fiore che illumina di rosa la veduta notturna della riviera, le luci delle case, sono tutte accese. 
A parte l'evidente fotomontaggio, non ci sono grattacieli in riviera romagnola, a parte a Cesenatico e Milano Marittima, in generale, è un cartello piuttosto fantasioso. Immediatamente gradevole alla vista, mette voglia di uscire in bicicletta, di ballare, il carattere delle scritte è un corsivo molto morbido, color oro, sullo sfondo domina il blu notte, tranne la scritta Cervia vi invita alla: che è tutta rosa, come il fuoco d'artificio.
Ecco dove dovremmo andare, Bruna vuole vedere un cielo migliore, penso che i fuochi lo sarebbero.
Io ho in mente che dovremmo uscire, scappare dalla clinica e decidere il da farsi, magari prendere un treno e raggiungere la Calabria, ho dei nemici là, ma anche tanti amici, potrei ritirare dei soldi e mantenerla con poco. Riscuotere vecchi debiti e comunque, vivere di poco, insieme.

Stanza 24

Ormai questi due ospiti sono una coppia, dobbiamo accettare che, qui dentro, si realizzino le dinamiche di una vita normale che, sebbene non è propriamente reale, almeno tende disperatamente ad esserlo. Mangone e la Saragoni potranno trasferirsi presso la stanza 24, dove già alloggia lui, perché più spaziosa e vicina all'ascensore. Qualsiasi decisione contraria a questa disposizione sarà discussa personalmente con il sottoscritto ed è da considerarsi, da ora, non valida. 

Il documento, sul tavolo, è già firmato dal direttore della clinica: dott. Saporetti, con timbro ufficiale della società, lettera in cara intestata e protocollata. 
Mi han fotocopiato questa circolare, e ora la porto fino alla 3 e gliela passo sotto la porta, alla Bruna, voglio che la legga con calma, mentre io esco a passeggiare al mare, poi, stasera, potremo cominciare a spostare le sue cose. Sono emozionato, non è possibile che queste dannate mani tremino sempre così.
Le mie mani, le mie mani, sembrano artigli di un rapace ormai.

Io vorrei sempre dirti questa cosa, cara Brunina, cioè non ci riesco, ma vorrei. La prima cosa è che da quando ti ho conosciuta, sto meglio, non devo più fare, dire, pensare delle cose per forza, ma lo facciamo per te. Poi vorrei anche dirti, se dovessi trovare l'occasione, che io mi rendevo conto di essere uno, è bello, essere uno, ma mi ero scordato di quanto fosse bello essere mezzo, ora sono mezzo senza te, ma essere mezzo con te è senz'altro meglio che essere uno, da solo. Questi sono pensieri caotici, portati dallo Scirocco secco, che tira qui dalla pineta e dal Risperdal, che rende più semplice immaginare, ma mi arrugginisce le sinapsi. Ma è così che vorrei parlarti, a trovarne l'occasione, altrimenti spero di avertelo già detto, guardando il mare, che poi non deve succedere proprio niente, ed è questa la verità.

Solito colloquio col medico, Saporetti è bravo, molto bravo. Ci riceve una volta a settimana, per un'ora, nel suo studio, lo fa con tutti gli ospiti. Che qua dentro comandi lui, è chiaro, mi piace che abbia uno studio semplice, esattamente come una delle nostre singole, con il bagno, ma solo arredato con un grosso tavolo balinese, sopra ad un tappeto in paglia, sulle pareti maschere africane e indiane, reperti di viaggio, passione di una vita a sognare l'avventura, dentro gli ospedali, sempre con l'occhio sull'orologio, la mente fuori.
Ed è fuori, che Saporetti ci vuole mandare, anche i casi più gravi, lui li fa uscire: il pericolo è diffuso, è la società che deve accettarvi! Cerca di chiarirlo, in ogni occasione.
Ci sediamo, si può fumare, nello studio, lui fuma sempre, la chiacchierata è informale, serrande abbassate, una discussione che di solito si struttura intorno a un tema, una notizia di cronaca, ovviamente, oggi, lui vuole parlare di Bruna.

- se non le interessa parlare del Risperdal , mi dica di questo periodo, allora…
- l'amore non si deve spiegare
- siamo preoccupati, per questo avvicinamento con Bruna, 
- non dovreste, dottore, è una cosa bella
- ma cos'è per lei l'amore, ora?
- lo stesso pacchetto di sigarette, dottore, farsi compagnia

Mi guarda sornione, starà classificandolo come pensiero primario, infantile, ma credo sia necessario parlargli al cuore, rispetto questo medico, non cerco di dirgli quello che vuol sentire, come fan tutti qui dentro, gli parlo alla pari, per me questo è rispetto.
A sessant'anni, so, che non uscirò mai, di qui.
Non decisi nulla, l'omicidio, l'avevo deciso, avevo scelto di porre fine alla vita di un uomo, che, non doveva esistere più. Ero consapevole di porre fine anche alla mia vita, nello stesso istante, ma ero lucido. 
La malattia, fu dover uccidere anche lei,  mia moglie. 
L'abitudine di dormirle addosso, spostarla con me, sulle brande militari di tela, accostate al centro della stanza, passare il tempo a scambiarci l'odore. Era. Non sarà più.

Bruna è indecisa, non sa se vuol venire a vedere i fuochi d'artificio, la sento, a volte ho l'impressione di non aver costruito nulla, con lei; si fissa con le telefonate dei fratelli, il suo sguardo diventa più opaco e non fa che parlare di fesserie; è stato tutto così immediato, capita che mi chieda se non me lo stia solamente immaginando, questi rapporto. Succede di rado, quando lei ha quelle sere che vuol star sola e si chiude in camera, e nessun uomo, o cosa, potrebbe vincerla. Poi riemerge, per fortuna, sempre.
Ma passare da quei momenti, è come nuotare in un mare di latte.
- perché tu la faresti, sta cosa, con me?
- che cosa?
- di scappare, andarcene di qui, andare a vedere i fuochi
- io si, credo di si.

A me manca avere la macchina, soprattutto, prima di tutto, la macchina, non tanto la casa, o i soldi, il lavoro: gabbie, la mia vita di prima. Mi manca la macchina, però, poter decidere dove andare o semplicemente, fare un giro, osservando il paesaggio e parcheggiarla, sotto gli alberi, in divieto di sosta, in un grande parcheggio rialzato. 
Ma ora ho una donna, c'è più rispetto, in chi guarda un uomo che porta la sua donna, a braccio, c'è una chiarezza immediata, come dire, sanno che mi sto prendendo cura di lei,  che so farla divertire, che pago per lei, provvedo: sono un uomo serio, adulto e affidabile. Il contrario di quello che mi sentivo prima, prima del Risperdal.

giovedì 10 luglio 2014

Cassetto n°134


Ma lei parla, e io, ogni sera, mi trovo qui. Sempre.
Quanti suoni metallici ha, la notte? Da quando ho scoperto come stare al buio, nella mia posizione preferita, li sento tutti, indistintamente, i sensi, che si allargano spaventosamente.
La voce nella pistola è la mia giuda, mi obbliga a stare qui, da mesi. La pistola era di mio padre, quindi, ovvio, che  la voce sia la sua, non so dire come una dannata voce possa stare in una pistola, tra le molle e il ferro. 
Ma lei vuole tenerli sotto tiro, il canedifuoco:  così chiamo la voce.
Nella mia posizione preferita, qui, la sera, mentre fa buio, ecco...esco sempre meno dalla pineta. 
La pineta è una cosa sola, composta da migliaia di vite coordinate e semplici, un brulicante nulla, che batte regolare, la mia tiepida signora del bosco.
Di solito, li riconosco da uno scricchiolio, sono veloci, schivi, sbuffano, sibilano. Non puoi passare per caso di qua, la notte. 
Magari, nella tua vita, vorresti sparare a tua moglie, urlare a tutti i tuoi pezzi di stare attaccati e invece, riesci appena starci dentro, e corri.
Eccone uno, ha la casacca fosforescente, sono i più carini, i tecnici, gli ordinati: scarpe nuovissime, stanno più tempo da Decathlon che sulla strada, han preferito la corsa alla scappatella, son stati bravi, si trattengono pure loro, come tutti e come me. 
Han capito, con pazienza, che se facessimo quello che vogliamo veramente, saremmo comunque schiavi.
Stringo il canedifuoco, la mano aderisce bene alla curva dell'impugnatura, indice lungo la canna: miro, scorro il loro fianco, spalla, collo tempia. Li tengo sotto tiro, calcolo il ritmo, un saltello, due, uno più lento. Hai male alla caviglia, penso: dovevi darti alla bici, o al nuoto.
Li capisco: venire la notte a correre nella pineta, il fresco, percepirsi unici e soli, come degli animali, quasi impauriti, scattare via. 
Capita la paura che succeda qualcosa, che ti attacchino, poi dici sono adulto, cosa può succedermi, finché ho un mutuo? 
No, invece, può succedere qualcosa, che fa male, che attende, e magari decide che sei tu, il tuo turno. E magari non ha una ragione, un motivo preciso, per pensarlo.
Molto più semplice, meno strano.
E allora corrono, non si fermano scoprono un appoggio incerto, su una radice di pino a cui segue uno scatto più fluido del previsto, no, la caviglia non fa poi così male.
La mia postazione è un angolo, dove si incontrano il terreno, un muretto e una sedia da campeggio. Rischio tantissimo a stare qui, potrebbero vedermi ogni volta, trovare il canedifuoco, ma siamo una squadra, lui mi promette, che io sono invisibile. 
Ho esattamente otto metri, per tenerli sotto tiro. Miro la testa, di solito, il petto più raramente. Più facile se vengono da sinistra e mi danno le spalle, ammetto che quelli che arrivano di fronte, a volte, ho ancora paura che mi vedano.
Stare col dito sul grilletto, tenerli puntati per il breve pezzo che condividiamo, un'ossessione del canedifuoco, a volte lo sento, vorrebbe fare da solo, vorrebbe andare.
Ma mi riprendo subito e respiro.
Molti di loro che corrono, inizio a conoscerli, son regolari, abitudinari da far paura. Giorni pari, giorni dispari, uno si, due no.
Sono tutti uomini, verso il tardi, ceti medi, che non hai voglia di sgambettare, alle nove di sera, se è agosto e stai in impalcatura, no?
La natura, a volte, mi deprimeva da piccolo.
Ho sempre avuto poco, troppo poco, sono un zoppo, uno sgorbio. Ovvero, non che sia brutto, ma sono certamente un mostro sociale. Questo difetto che mi costringe a stare male, il mio odore acre, l'imbarazzo, l'alieno alle medie, l'inchiavabile alle superiori.
Ho partorito la mia parte nera, dall'ultimo banco, è caduta a terra con tonfo di melma, nei lavori peggiori, le estati, con gli scoponi in mano, nei tombini, da cui sentì, per le prime volte, la voce.
Più avanti, messa da parte ogni aspettativa, ho chiesto sempre meno.
Ho delle cose, le curo, ho tempo da vivere, e occhi perfetti, che ti centro venti centesimi a cinquanta metri al poligono, senza prendere la mira. Il mio controllo non è un dono di dio, è un mio prodotto e loro sono tutti miei, brulicanti vite, strisciano per la pineta, si intrecciano, si lasciano passare, ma sono io ad autorizzarli, questa sera, tornare a letto, sarà un mio regalo a loro. 
Esco con la luna che illumina le teste, il cranio delle persone sembra progettato apposta per esplodere, non ho mai ucciso un uomo, vivo nello stuzzicarmi a pensare come sarebbe, in realtà.
Ma un uomo, un avvocato, immaginate che spruzzo, che tonfo, il cranio di un giurista che lava il tronco di un pino di sangue nero e pieno. Sciaf.
La tentazione è trattenere, che ad ogni, singolo, passo sento un brivido al dito, una scossa, li tengo sotto tiro, poi li faccio passare, le loro vite da inseguire.
Stanotte mi alzo dalla postazione, mai successo prima, mi manca l'aria, cazzo, è un attacco di panico, la pistola nella tasca scotta, è a mille gradi. La devo estrarre, senza cura, sono in mezzo al sentiero, poi va improvvisamente meglio.

Il canedifuoco, tira come un matto, tornato alla sua natura di fuoco, mi promette di mostrarmi una cosa. la voce nella pistola, mi parla, come le prime volte.
Mi chiede delle promesse strane , pericolose, il canedifuoco chiede
- scommettiamo Alberto? O sei un senza palle, come sempre
- Ah no, con te non rischio volentieri, brutto cane. Dai cosa?
- Scommettiamo che stasera ammazzi uno?
- Non dire cazzate
- Non hai le palle, mai avute, Simona lo sapeva
- Cosa?
- eh?
- Cosa scommettiamo?
- Hai presente il grassone con la barba? Quel Beppe Grillo, con la casacca arancione della Nike?
- Si
- Se passa lui, lo ammazzi, se passa un altro, hai vinto
- Cosa, ho vinto?
- Ti lascio stare, non ti obbligo a stare qui ogni, sera, non ti obbligo a pensare ogni fottuta ora che sei un rifiuto. E ti riprendi la tua vita.
Tira un soffio di brezza, fredda, pare il sigillo sull'accordo

Mi rimetto in posizione, Beppe Grillo lo conosco bene, fa sempre quattro giri, contati, un'ora esatta, poi non lo rivedo più. 
Ma oggi è prima del solito, allora temo, temo per lui, temo che sia in forma, temo che voglia strafare. 
Sgombro tutto, il cane tace, minuti, tip tap tip tap. Ecco, che sale dalla duna, è buio, respiro coi suoi respiri, un'ombra, frazionata in attimi, si avvicina, tra poco uscirà dagli alberi e saprò cosa diventeremo, tu ed io, caro cane.
Registro il volto e sparo.
Un uomo di mezza età, centrato al collo, due volte, stramazza pesante contro un tronco e cade. Il cane mi ha preceduto. 
Corro là
Lo afferro sotto le ascelle, scatta come una cavalletta con le gambe, ritmiche e fa un sibilo strano dai due buchi.
Voglio finisca tutto, mi è caduto il canedifuoco tra i cespugli. Trascino il corpo dietro a una pila di tronchi, lascio scia di terra grassa e nera, dove ho spostato gli aghi. Il ciccione emette dei rantoli, è uguale a Beppe Grillo, davvero, e infilo indice e medio nel buco della trachea, lo allargo. la mia manica si inzuppa di sangue. Spingo le dita in alto, avanti e indietro, poi ad uncino afferro qualcosa e tiro. 
Le sue pupille ruotano. Incido sempre più forte, qualcos'altro si rompe ed ecco, caldo ancora, caldissimo. 
La mia camicia è completamente da buttare. Uccidevo così le carpe, al fiume morto, da piccolo, erano solo meno resistenti, io più piccolo e spaventato.
é accaduto! Il cane ha vinto, come, in fondo, avevo sempre saputo, è successo, che si è voltato e mi ha morso.
Prendo un tronco di una quarantina di centimetri, dalla catasta, ormai senza cautela. Miro bene alla testa del corridore, è vero che chiudo gli occhi, ma affondo tre colpi, potenti. Il primo prende il terreno, scossa alle braccia, il secondo lo zigomo, di striscio, la pelle si lacera, l'osso rientra nel cranio, 

Il terzo, lo centra in mezzo al naso

la mandibola si stacca

e son bolle

e gargarismi di sangue

e buio.

Notte.