mercoledì 29 maggio 2013

Cassetto n°92

Seguivo mio padre, aveva il passo svelto, ma incerto, io tredici anni e delle conseguenze, sinceramente, me ne fotteva una beata sega
La sera prima, mi aveva scoperto: - Dove le hai prese quelle? - indicava tre taniche, cinque litri l'una, nascoste tra le coperte, nel vano di sotto.
- Acqua? Questa è acqua! Dove l'hai presa? - Voce rotta. Poi si è appartato, a telefonare, non poteva farci niente, il vecchio piangeva e mi denunciava.
Siamo in sei milioni in questa città, avrei potuto nasconderle ovunque, perché proprio in casa? Sciocco, colpa mia, colpa solo mia.
Avrei anche potuto non vederla, la fessura. Era una sera, di turno al lavoro, scavavo gallerie per i mezzi sotterranei, giù, alla Compagnia.
Quella volta trapanai qualcosa di duro, metallico, piantato nella roccia, scintille della punta del trapano. Lo spolverai, con cura, era circolare, un bel diametro, piantato all'altezza delle ginocchia con viti, circolari anch'esse, grandi quanto bottoni. 
Man mano che pulivo la superficie, un piccolo spiffero mi pungeva tra gli occhi, spostava i capelli: aria pulita,  brezza. A lato, comparve una fessura, la fessura che mi ha portato, oggi, a dover seguire mio padre, verso l'Interrogatorio. 
La fessura, che poi era una grata, aveva dei bordi in metallo, minuscole scritte e codici alfanumerici, tra la polvere e i detriti.
Alla Compagnia dei trasporti i turni erano veloci, incalzanti, eravamo quasi sempre da soli e il tunnel era buio, decisi così che avrei scoperto tutto, della botola, anche se me la facevo sotto.
I mesi successivi alternai il lavoro con gli attrezzi alla pulizia della botola. Fu incredibile scoprire che si affacciava su un bacino d'acqua, un bacino artificiale con una scorta immane di acqua.
Dovevo lavorare il doppio. A fine turno, coprivo la botola con sacchi di pietre, ghiaia e stracci presi dalle discariche. Finalmente avevo capito dove la tenevano.
Ricordo chiaramente, la sensazione che provai la prima volta che misi la testa nella cisterna dell'acqua. Provai un senso di chiarezza, come di pulizia.
Provai quella sensazione di quando trovi le chiavi esattamente dove ti ricordavi di averle lasciate, stessa posizione.
Il mio tubetto settimanale era già agli sgoccioli, giovedì. Lavorare tanto mi faceva venire una fame animale e finivo sempre per barattare sigarette e altri beni futili, che riuscivo a procurarmi in galleria, con altro cibo o pastiglie nutrienti.
Dopo un periodo in cui la vita umana era arrivata a coprire anche i centovent'anni, negli ultimi anni la longevità si era ridotta notevolmente a livello mondiale, colpa del cibo scadente, che ci fornivano le industrie farmaceutiche e delle pessime condizioni del clima, un caldo umido costante.
Una vita media si misurava, ormai, nell'arco dei cinquant'anni.
Animali, piante, ogni forma di vita, ridotta a poche decine di specie, tutte sotto la tutela della rigida Commissione Universitaria. Questo mondo, quello in cui vivete ora, ci stava lentamente dicendo addio.
Da quando fu abolito il denaro, intere famiglie, potenti e miserabili, tutti insomma, si trovarono sullo stesso piano. Fortune perse nell'arco di un mese, patrimoni naturali ed artistici abbandonati, sanità allo sbando. I soldi venivano bruciati nelle strade, tra carcasse di auto e carogne di cani e persone. Ci fu un periodo di lotte e sommosse rabbiose, guerre civili, brigantaggio, sciacallaggio, stupri. 
Dei gruppi autocostituiti presero il comando e, sciolti i governi, si formarono le Commissioni, che gestivano la cosa pubblica in modo rigido e unilaterale.
Si sarebbe lavorato unicamente per sopravvivere e, devo dire, che le cose, andarono anche meglio del previsto. Le Commissioni erano incorruttibili, spietate, disciplinate all'interno da un solido senso di appartenenza e di rispetto per la vita umana. Si basavano su un presupposto tanto logico quanto innaturale: tutti dovevano avere solo il minimo e persino all'interno delle stesse istituzioni, l'unica paga, era cibo e acqua: due litri, procapite, al giorno. La pena di morte venne reintrodotta, si uccideva anche per reati contro la cosa pubblica, soprattutto al patrimonio alimentare.
L'acqua restava il bene primario, scarsissima sulla terra, era la nostra forma principale di remunerazione e veniva distribuita da personale armato, direttamente ai nuclei familiari, con camioncini blindati, in proporzione a crediti per lavoro o altri meriti accumulati. 
Le Commissioni e la fame piegarono ogni volontà di trasgredire, corruzione e furto diventarono quasi nulli. Anche le famiglie si allargarono, e si passò a gruppi di venti, trenta persone, sotto lo stesso tetto, si divideva tutto, senza compromessi.
Non ci sono stati dubbi, per nessuno dei due, me e mio padre, tutto corretto. Sono stato trovato colpevole, coprirmi voleva dire morire tutti, sparire a livello civile.
Lo seguivo rapido, due fermate di metro, incroci, visi sfocati, accanto.
Il personale della Commissione disciplinare ci accolse in un'ampia stanza bianca, il bianco era il colore della Commissione, rappresentava l'impenetrabilità, l'assenza di ombre del sistema.
Un funzionario sbrigò alcune pratiche con mio padre, gli fece firmare dei moduli, io venni invitato ad accomodarmi in una sedia di una infinita fila di sedie bianche, spalle al muro. La terza sedia da sinistra, mi dissero, era così.
Mio padre era serio, ma non pareva più tanto esitante, sentiva di fare la cosa giusta, il mio atto andava sanzionato, segnalato.
Gli dissero di andare pure, sarei restato nel centro, per due settimane, per un modulo di correzione comportamentale, poi andarono a parlare nell'altra stanza, sentii dire capisco almeno una decina di volte. Poi disse un'ultima volta capisco salutò e chiuse la porta.
Con me furono gentili, mi chiesero i dati, se sapessi leggere e scrivere e dove vivessi. Compilai un modulo in cui dovevo descrivere esattamente tutto quello che sapevo sui miei familiari. Ci misi due ore.
Si concentrarono su un aspetto nell'interrogatorio: chi sapeva? Avevo parlato della vasca d'acqua con qualcuno, forse mio padre? Non mentii, nessuno sapeva dove avessi preso quelle taniche. Nessuno tranne me.
- La cosa importante è che tu, ora, ragazzo, sappia che non puoi più vivere come prima-
Intervenne il secondo, il tono era meno marziale:
- Hai fatto una cosa molto grave, capisci che tra un solo anno, a quattordici anni, saresti stato considerato "non recuperabile" e quindi, probabilmente, eliminato? -
- sissignore sono consapevole della gravità di quello che ho fatto! -
Ascoltavo, senza tradire emozioni, ero terrorizzato, ma ero abituato alla procedure, dalla nascita, riuscivano a rendere qualsiasi decisione talmente estranea dalla mia sfera di volontà, da dotarmi di grande acquiescenza ed accettazione.
I due agenti si ritirarono in uno stanzino, attesi
Poi venne una signora, anziana, una bella donna in tailleur bianco e mi chiese se mi andava un succo.
Certo che mi va.


Febbraio 2064
 Ora sono nella mi stanza, a diciotto gradi punto cinque di temperatura, la stanza che occupo, da sei anni, ormai. Non ho più visto mio padre, i miei fratelli, il mondo vero. Mi dicono poco, ancora, in generale, ma devo esser stato davvero fortunato, sono stato assegnato al programma di Conservazione e Promozione della Continuazione (CPC). Vivo in questo loft sotterraneo arredato, qua, a differenza di sopra, non manca nulla. Ho capito poco, di questo mondo sotterraneo, ma siamo le persone che non possono più avere contatti sociali, abbiamo informazioni incompatibili, con la prosecuzione delle attività delle Commissioni, in superficie, ma, per qualche ragione, non siamo neppure eliminabili.
Non siamo stati uccisi. Non so se ci siano altri posti come questo, ma qui saremo un migliaio, ci sono menti eccezionali, scienziati e progettisti che lavorano, cercano soluzioni, creano modelli per un futuro possibile, dalla mattina alla notte, spesso falliscono.
Ci sono individui dotati di facoltà mistiche, di previsione ed anticipazione, detentori di grandissime sensibilità. Non si entra qua sotto col denaro, questo spazio non è affittabile, chi lo conosce è perché ci vive, a parte una decina di persone in superficie.
La condizione è quella di uno stato di grazia, una prigionia dorata che, sotto ad un mondo agonizzante, pare più una promessa. Il mio è un edificio, al centro del parco di centinaia di ettari.
Animali, serre di conservazione e laboratori a centinaia, strutture sparse a cerchi concentrici nel parco. Tutto intorno al parco, le cisterne d'acqua, sempre più vuote, tra cui la C-1605, quella che trovai io, trapanando per la Compagnia.
Non ci dicono nulla del mondo, convivo con questa angoscia che, ormai, è un breve pensiero spiacevole, la sera, prima di dormire. Sono addetto alla manutenzione delle cisterne, ironia della sorte, controllo l'erogazione dell'acqua e tutti i valori, pressione eccetera.
Le persone, le ricordo, quasi tutte, ma non riesco a convivere con una immagine: il sole, piccola palla bianca, che filtrava dietro le finestre rotte dei palazzi sventrati, alle sei della sera. Sullo sfondo i fumi dei falò, luci tremanti e la gente che bruciava immondizia, sotto quel sole. Sono inquinato da quel ricordo, ossessionato, credo che diventerà presto insopportabile, l'idea di vedere ancora il sole, perché, ora, è il mio dio, la mia aspirazione. Ogni sera, prima di dormire, dopo lavoro e palestra, faccio un'ora sotto le lampade UVA, servono alla pelle e all'umore, dicono. Ma mentre sono là sotto, elaboro dei dettagli a quel ricordo, il numero degli edifici, i contorni, le sfumature di oro ed arancio, c'era qualcuno che gridava? O forse delle campane, battevano a tono?
Ti devi aggrappare a qualcosa
La sera, dormo sotto un enorme quadro che rappresenta una zattera di  superstiti, molto bello, oscuro, mi ricorda la mia vita di prima, la lotta. Mi han  detto che era famoso, di un certo Géricault, la Zattera della Medusa, credo si chiami.


Sempre Febbraio 2064
Questa maledetta aria inquinata rantola giù, nei polmoni, come aceto, centelliniamo l'acqua dentro bicchierini graduati e personalizzati, verso sera, via via, sempre più vuoti. Nessuno in famiglia beve l'acqua altrui, sarebbe come ucciderlo, di dieci figli che ho, quattro hanno una tosse molto brutta, siamo in attesa delle cure, ma il sistema è intasato e ci vorranno giorni. Il loculo di appartamento che ci affitta la Compagnia basta appena a mettere i letti per tutti, ma la casa l'abbiamo, almeno e costa poco.
Mia moglie sorride sempre, sa perdonare e coltiva pomodori e insalata, praticamente senza annaffiarle e ride, la benedico per questo.
Prendo il contenitore del tabacco, fumare in questa città, è come prendere boccate d'aria fresca, mio padre, suo padre, fumavano, al diavolo le bombole che la Commissione ci noleggia per l'ora di ossigeno puro, ho altro a cui pensare. Le mie le lascio a mia moglie, vedrà lei.
Sono sei anni e tre mesi che manca David, mi è stato garantito che è stato affidato presso una famiglia, sta bene ma non posso sapere altro, e piano piano ho smesso di chiedere.
Non potevano ucciderlo, troppo giovane, lo sapevo ho studiato la legge, con le Commissioni non puoi non conoscere il codice.
Mi appoggio alle assi che dividono il nostro appartamento a quello dei vicini, noi siam fortunati, loro son ventidue e hanno un appartamento identico al nostro.
La vita è dura. Guardo il sipario del sole che scende e aspiro forte, il tabacco dalla pipa, misto al lavoro di oggi e alla cena saltata, mi fa girare la testa, vertigini.
Mi sembra di planare giù, per questi trentasei piani, sto un po' meglio e cerco di ignorare il fatto che tante volte ho pensato di farlo davvero, di buttarmi, ma poi passa.
Credo che mettano qualcosa apposta nel cibo, nei tubetti e l'idea di farla finita, pian piano, svanisce.
Ne parlavo coi colleghi, anche ieri: una quieta rassegnazione che ci dice "le cose van portate avanti, il lavoro va svolto" se vogliamo l'acqua. Il proprio ruolo va occupato. Lavoro anch'io alla Compagnia, come il mio primo figlio, David, lo feci assumere io. Ma dopo di lui non vollero più nessuno della nostra famiglia, nell'azienda, ragioni interne. Io sento che David, ogni tanto, pensa a questi posti, so che non è arrabbiato con noi.
Sconto la condanna di averlo perso, vivendo. Perché il tarlo lavora, mi ruba il sonno, perché la mia fede, la mia incorruttibilità han vacillato. Io rubo la mia vita, la regalo ai miei figli, io non ne son degno. Io, come Abramo, ho mostrato massima devozione, pur abbassandola, la mia spada, e ho ucciso mio figlio, per come lo conoscevo.

Perché non dissi a nessuno del bigliettino di David, piegato dentro il mio portatabacco? E delle trenta taniche d'acqua? Io, a questa cosa, qui appoggiato a fumare, ora, non so proprio rispondere.




sabato 25 maggio 2013

Cassetto n°91


...e boh niente, mi trovo a guardare il mascarpone giallo sciolto nella mia ciotola, mi sento strano, cerco di mantenermi consapevole solo del qui ed ora.
Voglio arrivare a fine serata salvo, intero, esprimere opinioni al minimo, far sentire a suo agio mia moglie, riprendere la macchina e ficcarmi sotto una lampadina a scrivere il mio libro.
Tempo stimato: tre ore.
Inzuppo il cucchiaio nel mascarpone altre tre volte. Lo aspettavamo tutti, sto mascarpone.
Sarei quasi al sicuro, senza la Gina. 
E' una condanna, la Gina, fidanzata di mio cognato, come ogni vigilia me la trovo seduta davanti, ci capita sempre e non so quanto sia casuale, il fatto è che è incredibilmente facile parlare con lei, di tutto, ha delle opinioni sue, molto forti, ma sa mettermi sempre a mio agio, a differenza di tutti, lei ascolta. 
Quest'anno ci siamo sistemati sotto l'abete argentato con le palline in tinta,  il padrone di casa stappa Chianti da due ore e questo mascarpone non finisce mai. Chiedo consigli a caso sulla cottura delle patate di prima. Tutto molto bello:
- Le faccio ancora i complimenti per la cena, dottoressa Strini!  
Quella manco risponde, grande puttana, sorride e piano piano smetto di guardarla.
E molte volte, niente, mi riempiono il bicchiere, senza pause, la cena diventa un rituale collettivo dove l'unico scopo è quello della sbronza finale. 
Mi invade una pastosa disperazione, la stessa che provavo dopo aver annusato di nascosto le mutandine di mia sorella in lavanderia, a sedici anni, un senso di male infinito e incurabile, come se si vivesse solo per disperare.
L'acquazzone ci impone di restare in casa, e ho tutto il tempo di guardarli, li ho guardati bene in faccia, ho guardato questo gruppo di quarantenni stempiati, plurilaureati, affacendati sul telefonino, attenti alla camicia, ammiccanti con la moglie dell'altro, esperti di cinema, esperti di viaggi, esperti di cene come questa.
Ne sono parte, devo ammetterlo, ne sono inesorabilmente parte.
Siamo sedici, tra tutti, ma a me disturba la Gina, continua a far finta di mangiare il mascarpone e mi lancia delle occhiate di sbieco, che se mia moglie non ce la mettesse tutta per escludermi e parlare di lavoro con Beppe, che son due insegnanti, magari se ne sarebbe accorta.
Controllo nel taschino, tre sigarette, bene, sono importanti, per dopo, sono carico per l'uscita.
Si allontanano le sedie dal tavolo, si creano i gruppetti, io non parlo molto o meglio, cerco di ripartire le attenzioni in modo equo, per ricordare che ci sono, ma il dialogo più importante è quello silenzioso, lei mi chiede di seguirla, è un gioco rodato, sono anni che stiamo sulla soglia, così borghese, della storiella extraconiugale.
Mi piace capire che nè io nè lei siamo a nostro agio, qui dentro.
Poi mi sento urlare:
- Il dalmata è un cane di modestissima intelligenza, al limite dello stupido! 
Mi sento di affermarlo, la mia ex ne aveva uno. Mia moglie mi guarda piena di compassione, scuote la testa e riprende a disperdere la sua attenzione altrove. Silenzio. Non sapevo che Roger, il vecchio dalmata del proprietario di casa fosse morto proprio il mese scorso lasciando un vuoto in casa Tassinari - Trini. 
Ecco, ora che ci penso, avevo percepito all'ingresso, meno tanfo di cane. Comunque non stavo certo esprimendo un giudizio sul VOSTRO dalmata, ma sul dalmata generale, dannazione!
La Gina ha dunque fatto questo suo delizioso mascarpone, molle, con molto cioccolato fondente a pezzi grossi, fa i migliori dolci qua dentro.
- Vado in cucina a prendere l'altra ciotola! Lo dice così, per dire, tanto non la ascoltano, tutti sono  molto concentrati a parlare. Mi guardo intorno e mi alzo, vado in bagno, dovrei andarci, poi mi trovo in cucina è tutto aperto, lei è di spalle.
Gina non si volta, mi fa cenno di avvicinarmi, mi appoggio da dietro, la annuso sulla nuca, siamo praticamente a una parete da tutti, ma è un automatismo aprirmi la lampo e cercarla sotto, a tatto, di nascosto.
Si alza la gonna e la cerco, sposto il perizoma in pizzo, sento l'entrata viscida e tiepida. Scopiamo così, in piedi, con la porta aperta, non entro neppure del tutto,  spingo da dietro e lei, che si appoggia al tavolo, reagisce ai colpi, si inarca appoggiando la testa sulla mia spalla e si punta per spingermi contro il culo tondo e soffice.
Ci lasciamo cadere sui piatti, gran casino, brusio fuori, ma è un attimo, come aver già finito.
Si alza il coro: MAS- CAR- PO- NE! MAS- CAR- PO- NE! MAS- CAR...
- Puoi venire dentro
Sappiamo che è da chiudere ora, mi sfilo, le resta una chiazza rossa sul collo dove l'ho morsa. 
Si schiarisce la voce abbassa la gonna con veloci scatti di anca.
Io mi chiudo, vorrei lavarmi, ma non c'è tempo. Potremmo continuare in un albergo, altre venti, trenta volte, ma non ne varrebbe la pena.
- è stato bello sussurra
- Si molto! Raccolgo due euro che mi sono caduti a terra
- Eran vent'anni che aspettavo
- Io forse qualcuno in più 
- Son sempre sola il giovedì, così per dirti, a casa mia
- Al prossimo anno, Gina.
- Portiamo il mascarpone?
- Si
Torniamo in sala, mia moglie parla di governo e tagli alle scuole, mi sorride appena di sbieco, per la prima volta, stasera.
Sono contento di essere qua, sarà solo un'altra cosa da tenere nascosta, come quando a sedici anni, in lavanderia, annusavo le mutandine di mia sorella di nascosto dal cestone dei panni.

giovedì 9 maggio 2013

Cassetto n°90


Parli di incubi figliolo? Vuoi sapere cos'è un incubo? 
Era il 16 agosto del 1960, a Parigi, così come nel resto del Paese, si respirava aria di ricostruzione e di fermento artistico. 
Io ero un peso welter dilettante, il più promettente della palestra, allora mi propongono un incontro con uno sparring  nuovo: un negretto storto della banlieu, ben spinto da un paio di agenti. Hai presente uno di quei tossichelli neri usciti dalla droga con lo sport? Ecco, quelli!
Mi dicono tutti che è tutto arrabbiato ed io, che punto al professionismo, ci voglio combattere, mi ci fisso, è una fase che devo confrontarmi con tutti, combatterei anche ogni sera.
Ci sta che due tre amici si mettono a parlare, organizzano, invitano. In due giorni scappa fuori un incontro vero, in piazza, la sera, un mezzo evento con tanto di biglietto. Ricordo che il giorno dopo devo partire per il Brasile per un ciclo di match, ma la cosa mi pare più che fattibile.
Insomma, l'idea si allarga e diventa la festa principale dell'estate, la banda che suona, bar aperto, mamme col passeggino e ragazze scollate ovunque. Io non penso ad altro che allo show, vedo gente che conta, si può sempre strappare un contratto.
L'aria è tiepida, un insolito fresco per il mese di agosto.
Il ragazzo è messo come un cane affamato, secco sotto la vestaglia, ha occhi spenti da carcerato, mi guarda senza chiudere le palpebre. Fa ribrezzo, una carogna a bordo strada, capisci che vuol dire: "occhi che ti guardano con un odio che non ha nulla di personale?" 
Fa una paura, ragazzo...paura vera.
Lo spogliano ed è come di legno, un ginepro spazzato dal vento, non riesco e notare pelle sopra i muscoli, vedo soprattutto ossa. Decido che lo faccio girare un pò, poi lo distraggo con colpi alla testa, e affondo due ganci seri, all'epigastrio. L'epigastrio è una zona molle, grande come un mandarino, sotto lo sterno, si schiaccia lo stomaco e non respiri più finché un colpo qualsiasi, non ti mette in pace.
Se colpisci bene l'epigastrio, a mani nude, compare un livido a forma di mezzaluna rovesciata, per questo lo chiamo il "colpo della mezzaluna".

Suona la campana, si scaglia diretto, prevedibile, testa bassa, mi colpisce due tre volte, al fianco, pesta duro, ma ho il fisico più tozzo del suo e incasso. Ho i  guanti incollati addosso da più anni, sento le scosse sotto i piedi quando penso a dove e come colpirlo.
Gli giro intorno, lo giro, lo studio, mi copro e lui liscia a vuoto duro, tanti colpi, si stanca da solo. Di solito è questo il difetto degli affamati: vedono solo il KO: ne sono ossessionati. Lo aspetto sempre, mi preoccupa solo una cosa: non suda, non cala, non respira affannato, è calmo.
Io mi siedo, dopo i primi minuti, sto ancora perfettamente. Ma non penso più per un cazzo al Brasile o alla gente, devo chiudere presto, che qua ci sono figure di merda nell'aria e con tutti quei pezzi grossi di stasera, non devo rischiare. 
Poco dopo siamo ancora uno davanti all'altro, in altezza mi passa di un otto dieci- centimetri.
Ricomincia un match più difficile, lo prendo bene, due volte al viso, ma non si muove di un passo, poi pare distrutto, scivola, poco dopo si è ripreso e saltella concentrato.
Io sono un pò nervoso, ora si, perché non inquadro la situazione. Lo smilzo non ha punti deboli, attacca senza criterio, lo colpisco bene, allo zigomo, poi alla base del collo, son largo almeno un palmo più di lui. Quello ogni volta pare sul punto di cadere, poi nulla.
Pausa poi GONG!

- Cristo, ma questo non è l'uomo che ho sfidato prima! Ehi Ronnie, ci assomiglia, ma mica è lui! -
Il mio coach mi guarda spaesato, allarga le braccia come per chiedermi se sto bene.
La folla, che mi incitava a gran voce, ora è in silenzio, segue il match senza bisbigli. Ho delle serie difficoltà, questo è un altro, ha un tatuaggio sotto il braccio che mica c'era prima e respira in modo diverso, meno basso, più sospirato. Il modo di boxare sarà anche identico, pure l'aspetto, ma questo sta chino, è più alto, si nasconde, ma chi è? Quando han sostituito pugile?
L'esperienza mi aiuta a prendere tempo, colpisco pochi obiettivi mirati, lo sento vacillare sotto un potente affondo sinistro sul fianco, ma i guanti, ora, pesano anche  a me.
La secchiata di acqua fredda alla fine del terzo round, aiuta non poco, penso alla stranezza della cosa, tutti mi assicurano che nessuno è sceso dal ring, cazzo ma è assurdo, non ho combattuto contro quell'uomo prima!
-Ti assicuro Micky, prendi un'abbaglio, è sempre lui, quello lì! Sei tu che adesso cazzeggi, lo devi STAN-CA-RE! A fiato quello ti da due giri, è giovane, ma se lo prendi al mento, gli stacchi a testa! -
Non ascolto, so cosa fare, ma non riesco a farlo. Questo ragazzo ha un'aura molto potente, è protetto da qualcosa.
Sesto round, la piazza è sparita intorno a noi, siamo sotto un fascio di luce nera, lui non suda, cazzo non suda ancora! Riesco a legare e assesto dei colpi al fianco, vedo l'orecchino. No l'orecchino no! Questo prima non aveva orecchini, ne sono certo, è una cosa che guardo sempre. Mentre cerco di capire, da sotto, arriva un montante, lo blocco fra le braccia. Anche il suo odore, questo ha un odore sempre diverso, sembra così ma, non so se fidarmi perché i colpi che ho accumulato annebbiano le mie percezioni.
Questo tipo è ancora un'altro, è il terzo e non suda!

Molto lontano da lì

- Non è che ci beccano, secondo voi? -
All'università dello Utah, un gruppo di giovani ricercatori fumano erba, seduti intorno al simulatore. 
- No il guardiano è uscito da due ore e il professore è a pesca coi figli -
- Ora va Riki, va Riki! -
- Col cazzo che ci vado io, oh ma l'hai visto quello? Mena come un toro, mi fa fuori!  -
- Se vai tu son cento dollari, promesso dal gruppo eh, ragazzi?! -
Donald scatta a raffica foto col cellulare.
- Ohi, poi quelle le cancelli! Se ci beccano che siam stati qua, va a puttane il dottorato a tutti! -
- Cioè, con tutti i posti che ci sono, non potevamo puntarlo a Woodstock? O che ne so, alla grande Esposizione di Londra del 1851...? -
Riki scuote la testa mentre infila i guantoni, Franz gli passa i pantaloncini neri brillanti e una canna accesa. Riki dà un tiro e la fa girare, è perplesso, non che sia a digiuno di esercizio fisico, ma la sua esperienza si ferma all'atletica leggera e gli prende una ragionevole ansietta.
All'angolo del laboratorio, altri due giovani ansimano stesi al suolo, bevono acqua dalla bottiglietta e cercano di prendere aria, il più alto di loro ha un piccolo tatuaggio sotto il braccio: un atomo di carbonio. 
Sembrano appena tornati dal Vietnam.

- No cazzo questo poi no! Era pure meno nero, prima! -
GONG!
Il coach mi si avvicina, sospira:
- Quello tra un pò ti infila una serie e ti secca, Micky! Tieni la guardia alta e prendilo sul naso! -
- Ronnie ti dico che è il terzo o il quarto, non è mai lo stesso pugile, cazzo! -
- Micky, ti sembrerà sempre, sempre così, succedeva anche a me, saranno sempre diversi,  più in forma  più precisi. Vai e ammazzalo! -
E il coach si gira e scende dal ring scuotendo la testa 

venerdì 3 maggio 2013

Cassetto n°89


...l'ultimo estratto è il numero 35! Esatto signori, abbiamo un vincitore! Il presentatore sorride a un punto lontano, la valletta gonfia il petto, parte una sigletta registrata.
Come un serpente, si infila verso di me, paralisi.
- Spostati dai coglioni gattaccio, spostati dai coglioni!
La bestia a pelo lungo balza sul parquet, soffia, mi guarda strano e si lecca una zampa.
Strabuzzo gli occhi, sento elettricità intorno al buco del culo: sono miliardario, cazzo, 35! Miliardario  da un secondo! Inforco le pantofole e balbetto a mio figlio di accendere internet, non riesco a dirgli altro. Un attimo di visione offuscata, un buco nero e mi pare di caderci dentro, davvero, col divano.
Torna il reale.
- Davide, per favore, vedi solo di accendere quel computer!
Devo ricontrollare, ma so di aver vinto, ho spinto ogni numero: sono sei, mio figlio lancia il portatile sul tavolino, li controllo, corrispondono. Angusto spazio.
Quello che non poteva accadere, è successo, a me. Una vampata di calore che, dallo stomaco, si schianta dietro lo sterno, braccia formicolanti, migliaia di formiche impazzite tra pelle e muscoli, dalle spalle verso le dita, ruotanti.
Se l'infarto fosse piacevole, ecco, come lo immagino: un infarto tiepido durante il massaggio sulla spiaggia.
Accade come dopo aver preso quei funghetti allucinogeni, ad Amsterdam, mi fecero effetto solo dopo la prima birra. Scopro che vincere grandi somme è una sensazione brutta, soprattutto fisica, è come un tunnel, dentro la realtà. Sarebbe bello alzarsi, andare a prendere una bottiglia dal frigo, ho del prosecco Valdobbiadene. Ma nessun neurone riesce a condividere un solo  impulso col suo vicino, neppure io. Angusto spazio.
Mi ritrovo al momento dell'acquisto del biglietto.
Volevo prendere le sigarette, le cazzate, ma le tre rimaste bastavano giuste per la sera e optai per il tagliando. Di solito preferisco avere un pacchetto di sigarette pieno e non spendo soldi in cartaccia, ma lo presi. Entrato in macchina lo misi tra le analisi del sangue, ancora chiuse.
Ho paura di guardare in fretta gli esami medici, li controllo sempre dopo, con calma, poi van sempre bene, è una fissa vecchia, di mio padre.
Entrai in casa, il biglietto cadde dal plico ospedaliero su macchia di gelato in cucina. Un buco nella busta ecologica Conad. Ottima idea, lasciare la spesa al sole, in macchina, mentre stavo ricordandando i  militari con Piero, appena rientrato da una rimpatriata del 13eismo reggimento, fanteria. Proprio una persona umile lui, educato e cauto, una persona umile.
Di solito butto le sporte vuote nel cassetto, senza togliere scontrini, pubblicità varie e lì, sarebbe rimasto il biglietto, se non avessi incontrato Piero, se non avessimo parlato di sport e del buon vecchio sergente Rocetti, squallidamente ribattezzato "frocetti", dal gruppo. Grazie anche al gelato alla fragola, per il suo tempestivo squagliamento.
Non buttai il biglietto nel sacco dell'immondizia, probabilmente per questo, cazzate, tutto molto angusto.
Non succede niente, silenzio, mio figlio impreca sulla ricerca di fisica.
- Davide! Vieni qui...
- Si vecchio, te l'ho già portato il computer!
è come se i pori della mia pelle mi tradissero ed ecco mio figlio, che passa, fa un passo indietro e mi guarda piegandosi, come un collezionista che intravede la moneta che stava cercando per tutta la fiera, da una vita.
- Stai bene papà?
Io assicuro che si, tutto bene, non riesco a dire niente a nessuno, potrei stare così per sempre, non incassare il denaro e aspettare qualcosa, sul divano, aspettare una conferma, mi accorgo che sto accendendomi una sigaretta in sala, rimetti via l'accendino, idiota. Non si fuma qui! Penso.
- Mamma, il babbo è strano, ha gli occhi a palla!
Mia moglie si sporge dalla cucina:
- Senti è rimasto del caffè lo butto o vuoi che te lo scaldi?
- Si, un caffè, scaldamelo e non metterci lo zucchero!
- Cooooosa? Come non metterci lo zucchero?
- Te l'avevo detto mamma, è strano stasera