lunedì 19 maggio 2014

Cassetto n°128

Lucciole

Hai bisogno di andare, entri in un sentiero nero, una foresta dritta e alta, che ti porta sempre avanti. 
Non sai dove vai, ma prosegui, senti un odore che ti dice di qua, e a un certo punto trovi come delle luci, sono luci piccole, capisci che c'è qualcosa che ti aspetta e hai il cuore pesante e non sai dove vai, ti trovi in un campo di lucciole, sono migliaia, miliardi, ed è buio e sei da solo e pensi che è un luogo dove ci vuole del coraggio a venire da soli, perché è pieno di luci.
Un posto forte, ti dispiace non avere nessuno quando il bosco diventa prato e argine del fiume e barriera di ferrovia, perché tu, l'amore, l'hai sempre scacciato, ti sei avvicinato in tanti modi, ma poi hai sempre scelto di essere solo e sei in questo campo, ed è umido intorno, sei pieno di queste lucciole, svolazzano come fiammelle di brace, come piccoli pensieri, che si sono persi nel buio, orti che scandiscono un sentiero dritto fatto solo di domande senza conclusioni.
Senti un peso dentro, incredibile e capisci che devi esser qui per un motivo, e sei solo da quando sei nato, sei arrivato dove dovevi, alla consapevolezza di aver perso tutto e di essere una parte di queste luci. 
Mi chiedo se loro mi vedano come si vedono tra loro, loro stesse, e forse non c'è nulla, tra me e queste lucciole, c'è soltanto la consapevolezza di esserne parte, di essere dentro e non so, se loro si sentano sole, non so se loro vedono in me qualche luce, mentre cammino avanti e le sfioro e loro, che mi schizzano intorno, lampeggiano, sono come piccoli brandelli di quello che voglio: vita, calore, vicinanza con gli altri, poi altre cose che non posso avere.

Di certo qui non è così importante, io vorrei solo che questo posto non finisse mai, che i bambini lo vedessero, pensi a chi vorresti fosse qui con te e ti viene in mente una persona, ma non ci sono persone, o le hai cacciate, o non ci sono, in mezzo a quelle piccole luci, che c'è una parte di loro e ti rendi conto che vieni qui per un motivo, che non è esser morto, perché morto non è mai un problema, è solo.

Le rane gracchiano, dopo la ferrovia, ci sono delle canne con sopra dei pezzi di carta lucida, che vedi appena al buio, ma, prosegui, potrebbe essere un posto felice, dovrebbero portarci i bambini qui a sfiorarle, i bambini. E gli anziani dovrebbero venire qui, a ripensare ai tempi belli e alle loro biciclette.

Rosa era qui con te in quel posto, forse più di quanto ci fosse mai stata. Rosa, dove cazzo era finita? Perché quello che mi ha detto non era vero? Ero pazzo di te, ma eri la persona che voleva stare bene, io il pazzo che non voleva guarire, ero un pazzo che cercava le lucciole. 
Ed ero una di loro, una di loro, ero una lucciola anch'io, come sempre. Ero una lucciola anch'io, una lucciola, che voleva essere buio, io volevo essere buio e non potevo, perché avevo la luce e non potevo essere buio.
è difficile vivere questa cosa, è impossibile vivere questa cosa, non è impossibile vivere così. 

Solo perché son tante luci non vuol dire che siano giuste. No, non lo sono per forza, cammino e non voglio trovare nessuno, nessuno.
Io ho un sole, dentro, dentro e le lucciole lo cercano, quello che Rosa mi ha dato, quello che ha messo su di me, come un velo. Era un sudario, di Rosa. 
Rosa era l'ultima giornata che mi ha portato a perdere tutto. E non c'è più gioia, non c'è più scoperta, non c'è più.
Io, questo buio enorme, io lo accetto, io lo sposo e ci finisco dentro fino al collo, e lo sposo e poi vado sotto, fino a non capire più nulla. 
Fino a perdere lo spazio e l'intensità di ogni cosa.


venerdì 2 maggio 2014

Cassetto n°127

Una cosa sulla morte l'ho scritta, me la ricordo bene, ero in montagna, d'estate, coi miei genitori, montagne e boschi e sole, insomma, un pomeriggio andammo a funghi.
Che poi in montagna mi son sempre successe le cose peggiori: denuncia per pesca di frodo, vespe assassine che mi beccano sugli occhi, ma sopratutto la vicenda dei funghi, poi per forza che uno preferisce il mare, comunque la vicenda dei funghi fu la prima in assoluto in cui toccai la morte.
Ero coi miei quel pomeriggio, tenuti per mano e condotti da esperti della provincia di Belluno, consegna: raccogliere tutto ciò che era nel catalogo del corso micologico. 
Alla fine, dopo una lezione teorica, si sarebbero scelti i funghi buoni, scartando insieme quelli velenosi.
Ci si divideva in gruppetti, scarpinando su per sentieri arroccati e pareti non poco in salita del bosco. 
Di solito odiavo queste fatiche gratis, ma quella sfida a gruppetti, mi piaceva, non poco.
Ricordo che ne raccogliemmo più di chiunque altro. Io ne ficcavo di continuo nel cesto, ne staccavo anche tre alla volta: eccone uno, un'altro un finferlo, quello è un finferlo! In particolare trovai un porcino clamoroso sotto al muschio sollevato, ero Maradona dopo un goal, ero Reinold Messner sul Nanga Parbat. 
Arrivati dagli esperti della ProLoco, ci beccammo pure i complimenti:
- Ma che bel cesto pieno, e quel porcino: se ne vede uno all'anno, così
I nostri funghi erano praticamente da trofeo, tutti commestibili, se non addirittura pregiati da cucinare. 
La sera stessa, oltre al tesserino di esperto raccoglitore, del valore di un cazzo e mezzo, ci portammo a casa tutto il necessario per una bella spadellata in compagnia.
Mio fratello e mio babbo, che erano stati a giocare a calcio, non mangiarono i funghi, non ne avevano voglia, Luca probabilmente solo per non darmi la soddisfazione, mio babbo, invece non li mangia mai, io  e mia mamma ci buttammo sui piatti con gran foga.
- eh son proprio buoni questi, mica come quelli dei supermercati da noi.
- boh, a me sembrano uguali...
Poi faceva terribilmente caldo, c'erano i mondiali del '94, Roby Baggio si scaldava, ignaro di star per uccidere una nazione intera col suo rigore sbagliato, la tv dell'appartamentino in affitto, proiettava solo colori sfocati, e mentre mio babbo bestemmiava , mia madre cominciò a star male. Prima caldo, una veloce febbre e l'immediata sensazione che quei funghi c'entrassero parecchio.
Io stesso non stavo bene, vomitavo, vedevo le pareti muoversi, nausea, nausea e dolori allo stomaco.
I funghi, i funghi del cazzo
Mio padre ci prese, con mio fratello che rideva come un coglione, e via, verso il Pronto Soccorso, io sudavo sudavo, mia madre pareva dormisse, si era assopita appena appoggiata al sedile. 
Quelle montagne divennero enormi cattedrali, lugubri, io avevo bisogno di casa, salsedine, dell'aria da quattro soldi delle nostre spiaggette deturpate.
Ci misero su due barelle, in urgenza, lavanda gastrica e flebo per me, e bere acqua acqua acqua. 
Mi fecero bere finché non mi uscì dal naso. Mia mamma, non sapevo dov'era.
- Suo figlio sta bene,  per sua moglie la cosa è più seria, deve averli mangiati lei, i pezzi grossi, per fortuna, o il bimbo non ce l'avrebbe fatta.
Non è facile sentirsi un sopravvissuto, alla propria madre, sentire che forse quel fungo di merda, nato sulla montagna di merda, per finire nel nostro cestino, non scartato dai coglioni della Proloco, in bocca a mia madre, forse l'avevo messo proprio io. Non si uccide tutti i giorni, una madre: era una faccenda complicata.
- Dobbiamo vedere come reagiscono i reni, se non lavorano, se vanno in necrosi, è un problema.
E sti reni, cos'erano, dove stavano, e perché non si facevano il loro cazzo di lavoro?
Io, sei ore dopo, ero in piedi, mia mamma stava sempre peggio, in rianimazione, tutta intubata, in un sonno chimico potente, la vidi così e poi la tolsero da dov'era, analisi.
Notte, buio, montagne.
Erano già trenta ore di ospedale, quando mio padre ci portò a casa a fare una doccia, o meglio all'appartamento preso in affitto. Arrivati, vidi una cosa che non avrei mai più rivisto: mio padre steso sul letto, a faccia in giù, faceva dei rumori, sembravano borbottii, singhiozzi, sibili. Sembrava un animale sbranato da una pallottola, poggiato lunghissimo e ferito. Piangeva come un bambino. 
Presi mio fratello e lo portai in cucina. 

Non riuscivo a togliermi dalle orecchie il suono di quel pianto, era troppo vero, troppo fastidioso. Cominciai a capire che la vita era una cosa seria.