giovedì 20 marzo 2014

Cassetto n°122

Siamo a questa festa in un campo rom, dopo un pomeriggio passato a rincorrere il nostro gancio per Roma, qua c'è gente da tutte le parti, si balla tra le case, nel fango. 
Noto subito la grande quantità di ragazze giovani e una coppia elegante, totalmente fuori luogo, tra i due cinquantenni c'è una forte tensione.
è ormai sera, si accendono delle luci da discoteca, c'è una di quelle palle con gli specchietti che gira e rigira, entro in un edifico quasi diroccato, i mobili dentro sono inaspettatamente belli e costosi, bottiglie di vino e caraffe di sangria, mentre una ragazza truccatissima piange e corre da una stanza all'altra, seguita da un gruppetto di amiche, riesce solo a ripetere "quel bastardo, quel bastardo…" 
Le amiche le passano grandi quantità di sigarette già accese e bicchieri.
Non vedo Loredana, non la cerco, il gancio vuole parlare solo con lei. Colpa mia, non dovevo colpirlo in faccia un anno fa, al nostro primo incontro. Scorro con lo sguardo la gente, forse Loredana è ancora nel retro, a parlare con i padroni di casa, non c'è ansia dentro di me, la moltitudine che ho intorno allevia la sensazione di pericolo e i problemi del mondo. Osservo la spigliatezza della gente.
Esco di nuovo all'aperto, questo posto è così pieno di cose, che pare esaurito anche il posto in cielo. 
Poi esce Loredana e mi urla che dobbiamo andare, che stanno arrivando gli altri, che non c'è da perdere un secondo, ha la borsa.
La fretta, c'è solo la fretta, Loredana ed io usciamo dal campo nomadi, abbiamo piazzato tutto e avremo presto tutti i soldi.
Davanti, la solita strada stretta e buia e quella curva che sfocia ai tubi di cemento. Uno è sbriciolato,  è dove l'altra volta abbiamo ammazzato Paco col revolver. Lei è dietro di me, io ho la custodia col contrabbasso, lei la borsa coi soldi. Un altro milione circa, sono solo una minuscola parte della torta.
Siamo quasi alla macchina, prendo le chiavi, lei ancora dietro, giro la testa di pochi gradi: eccoli!
Sono tre, nel punto esatto dove l'altra volta ho visto la testa di Paco spaccarsi in due come un cocomero. Tre ragazzi normalissimi in tuta, con un cane chiaro.
Ci riconoscono.
Hanno delle grosse armi in mano, bazooka o lanciarazzi e ai loro piedi, il mastino, si gratta il muso con la zampa posteriore.
Il tempo si scompone in infinite unità. L'altra volta ci era andata bene, Paco era lento a mirare.
- Mira hombre, esa es tu fin!
Loredana è sempre troppo indietro, ho la chiave nella serratura, sblocco la sicura con uno scatto, la visione di loro che si sbagliano, la nostra macchina che svolta in fondo alla strada, vedo la salvezza in fondo alla strada dritta, dopo la curva.
Entra Loredana, non ci guardiamo, non c'è tempo, si abbassa e si butta sul sedile, non so perché, ma non mollo il contrabbasso e lo butto dentro alla macchina, di dietro. Poi sento che siamo troppo vicini a loro, e che non sbaglieranno, non ci mancheranno mai, sono in tre, un po' già ci rinuncio. 
Allora penso di scendere, di aprire la borsa e coprirli di soldi, di supplicare di avere la vita in salvo, ma non c'è tempo, gli uomini sicuri agiscono come macchine, loro e noi.
Ancora non sparano, vogliono essere sicuri.
Avvio il motore, parte subito, tutto scorre liscio, il primo metro, liberi, poi due, tre metri, verso la strada dritta, vedo tutto il mondo fuori da questa piccola, lurida strada di periferia come il posto in cui non dovremmo stare. Non qui, solo non ora.
Guardo con la coda dell'occhio Loredana, un sussulto, poi la luce, è solo luce, nessun cambiamento, centrati al serbatoio, penso.
Il tempo è fermo, ragiono lucidamente.
Vedo le lenzuola azzurrine dell'ospedale, le garze dei monconi di gambe mozzate, la loro forma che si muove sotto al cotone stampato. Accanto a me un altro letto, altre due gambe amputate, un sollievo e una paura enormi, non le vedo la faccia, solo capelli, non ha la faccia.
Poi qualcosa si riavvolge, il mio corpo in controluce, fuoco sullo sfondo, vedo sciogliersi le gambe, e già lo sapevo, poi se ne vanno anche le braccia, come cera calda, poi anche il tronco si apre e si sbuccia come una banana. La testa, lasciate intera almeno la testa, ma si spacca in due e svanisce pure quella.
Il proiettile ci raggiunge come un'inevitabile, ottusa punizione divina, il senso della sorte, intesa come destino, più che sfortuna, che espleta il suo ruolo in un coacervo di variabili disordinate.
Ora, Loredana, vedi non siam nulla, quei tre ci han centrato, ora è pace, potevo lasciare il contrabbasso, potevi correre più forte, ma eran vicini e ci aspettavano. Per vendicare Paco, il loro amico.
Vedo le foto del cranio di Paco, le foto in bianco e nero, crude, sento il suo rancore, noi invece ci sciogliamo come zollette di zucchero nell'acqua calda, con gratitudine, senza dolore.
La dissoluzione è un'esperienza neutra, le particelle del corpo che si distaccano tra loro, un processo naturale, il contrario dello spermatozoo che entra nell'uovo.
L'ospedale era solo un'opzione possibile, ci si aggrappa lì, per restare almeno in un pensiero, in un'odore. 
Ma non finiamo, almeno non io, poi non so te, Loredana.. i miei pensieri continuano, l'affare appena chiuso, il thè degli zingari e quella radio alta, per nulla distaccato da pensieri terreni, continuo a correre nella mia mente, tra la gente che balla,  schivando quella ragazza che strilla "quel bastardo…"
Mi interpellano, senza parole e mi vedo riflesso che cammino per una galleria di negozi, sempre Roma, abbigliamento, cinture, non è il mio stile. Sembro un cow-boy con baffi e gilet scamosciato e una cravattina in cuoio.
Un diadema la tiene ferma: è uno dei tuoi occhi, Loredana, è verde come i tuoi occhi.
Ma sono vivo, integro e a giudicare dalla quantità di buste che reggo, abbiamo chiuso l'affare, ed è andato tutto effettivamente molto, molto bene.
è una proposta, mi pare, mi stanno dando quest'alternativa. La morte è allora così: fluire, oppure sogno e basta e allora va bene lo stesso. Le immagini proseguono, mi fermo da un artigiano a guardare degli oggetti lunghi, altre cravatte, esattamente come quella che indosso.
Allora faccio una domanda, senza parlare a chissà chi. Ma in questa vita, c'è anche Loredana?
Silenzio, capisco che la risposta è no.
Non mi interessa, e allora buio, senza dolore è nulla, è davvero buio, per non so quanto, stavolta.
L'ultima cosa che ricordo è la fronte di Paco che si apre, quella volta che per poco non ci aveva ammazzati entrambi, dalla rottura di quella testa esce una melodia e dei colori e sopratutto delle domande:
non c'è sicurezza, non si può mai dire. Non saremo stasera noi due soli a mangiare gli scampi, in un ristorantino nella brezza della serata primaverile romana, di tutto quello che credevo, nulla accadrà

non fumerò mai più una sola sigaretta, o forse si. Ma cosa c'è, ancora, da capire?

giovedì 6 marzo 2014

Cassetto n°121

Ho fatto colazione in fretta e non mangerò fino a stasera, non un vero pasto, avrei bisogno di più tempo. Al primo che mi capita chiedo subito:  - Ha mai visto qualcuno, a casa mia? -
- Scusi? -
- No, dicevo estranei, gente sospetta, mai vista prima…-
-  Eh?-
- Vabbè, mi dia un Polase Sport e dell'aspirina, per favore -
- Effervescente?
- Si
- No, non ho visto nessuno. Fanno venti e sessanta, altro?…-
- Lasci perdere… -
Pago e saluto il farmacista, esco e già tre immigrati fuori fan casino, svolto a sinistra del bar, mi guardano, li guardo, mi guardo: stiro i pantaloni con i palmi, giacca e cravatta. 
Uno fischia verso di me, l'altro ride. Insetti seduti a risucchiare sole dal mattino: come cazzo campate, me lo spiegate? Li ignoro e tiro dritto. 
Alla macchina un'anziana mi ferma, mi sussurra, alitandomi abbondante Kukident sul collo:
- Mi scusi, ho sentito là dentro, mi scusi eh, ma lei ha ragione! Siamo noi gli stranieri ormai: sono i padroni loro, i romeni, i marocchini, gli albanesi, non han più paura di niente! 

Devo dire cosa? Un paese che mi guarda, alzano la testa dai caffè, smettono di azzannare i bomboloni alla crema, il barista incrocia le braccia, in silenzio. Gli amici dei miei, mi fissano, dovrei prendere posizione? Io non ce l'ho con gli stranieri, basta che non mi pestino i piedi, ecco, basta che abbiano quel minimo di rispetto che ormai manca anche a noi. Riesco appena a sorridere, imbarazzato, salgo in auto. 
Predappio è pur sempre a venti chilometri da qua! Penso e parto.
- Berlusconi era meglio, si ricordi!  Grida la vecchia, sotto la ghiaia che schizza contro i tavolini del bar e addosso a tutti: piccola, stupida vecchia.

E dire che i primi indizi erano confusi, solo un osservatore attento li avrebbe notati: un mozzicone, i segni nella ghiaia, che a me poi mica mi sconvolgono, possono entrare a farsi un giro. 
Vivo da solo in questa casa di campagna ormai da tre mesi.
La prima dimostrazione, invece, quella sera stessa, le cose si fan più serie: quattro vetrate del capanno rotte, bottiglie di birra nell'orto, piante strappate e gettate in giro: la cosa prende la forma di una sfida vera. Cerco di stare calmo: - Ma perché, l'han fatto? Mica per rubare, solo sfregio.

Io, 33 anni, impiegato assicuratore a Ravenna, leggo il biglietto sulla carcassa del trattore in mezzo all'aia. La calligrafia è stentata: Prossima volta // preparaci colazione!! 
Rido da solo come lo scemo del paese, mi arriva il sangue alla testa, si appanna la vista, entro in casa pensando: come preparare colazione? Preparare colazione a chi? Preparare col-a-zione…? Rido e serro i denti, li sento scricchiolare.
La mattina dopo, prima cosa, metto un cartoncino sul trattore: - Andate a morire a casa vostra, qua ci togliete l'aria, stranieri pezzi di merda!! -
Mentre guido, penso di aver sbagliato: troppo aggressivo e diretto, era meglio giocare sul senso di colpa e sulla complicità, magari scherzare. 
- ma questi bastardi non hanno i sensi di colpa! -
Inchiodo a un millimetro dal culo di Panda 4x4 verde, ferma al semaforo. 
Prendo posto in ufficio, il lavoro aumenta: quattro ore, poi panino con la segretaria con l'alito pestilenziale e altre quattro ore seduto, poi discount e si va a casa, spesa fatta.  
Ho un po' d'ansia di vedere, di sapere come va, ora si che ce l'ho...
Arrivato, sembra tutto normale, ancora i cocci per terra, ma sono quelli di ieri, le bottiglie le ho raccolte in un sacchetto, la ghiaia è liscia…giro intorno alla casa, ma è già come se un particolare volesse sfuggirmi, inconsapevole eppure chiaro: perché non trotterella verso di me il gatto, come al solito? 
Il mio gatto socievole e tigrato? Dov'è?
Le buste della spesa mi si sganciano dalle dita: crack! Qualche uovo rotto e una Beck's o due, comincio a chiamarlo. Nulla
I carabinieri dopo un'ora di prodezze lessicali mi congedano:  - Sior Zinzà, tornerà il gatto! Porti pazienza, controlleremo gli alberi noi e non prenda iniziative, ce lo può assicurare?
Cosa vi assicuro che é venerdì notte, ho una schiera di contadini ubriachi fomentati dal Dj, che urlano dalla collina qui di fronte, che no, il triangolo non l'avevano considerato. L'umore nero mi consuma, spengo le cicche direttamente nella ciotola del gatto, tanto non c'è più, e se non prendo una decisione sparirò in questo buio, pure io.
Quanti saranno mai: tre, sei? Non importa. Ho le birre e le stelle, leggo dei passi di Nietzsche o forse è solo memoria: "…il futuro influenza il presente tanto quanto il passato…" e  bla bla bla. 
La signora della farmacia diceva che sono i padroni, beh no. L'Uomo sono io, no anzi, il Padrone, a casa mia, sono io! 
In più ho la conoscenza del campo, la tattica e armi. O faccio qualcosa ora, mi muovo presto, o divento come gli altri, a bisbigliare negli angoli, guardare di nascosto lo straniero coi piedi sul mio tavolo. 
Li chiuderò nel ferro di cavallo dell'aia, tra casa e stalla, sotto i noci, poi sarà il buio per tutti. Stelle cadenti, per dare l'esempio.
Avrò un centinaio di ore di ferie arretrate. quindi prendo due giorni pieni: sabato e lunedì, uno per preparare il campo, la domenica riposo, l'ultimo per agire. 
Lunedì 2 agosto, il mio giorno, preparo un'abbondante colazione. Come ogni giorno metto i cereali nella ciotola, verso il latte tiepido solo all'ultimo, per non squagliarli, quattro gocciole Pavesi in fila sul tovagliolo, caffè senza zucchero a destra, lo devo bere che scotti appena da intorpidire le papille gustative, senza ustionare. 
Butto tutto nel lavello e fingo di andare a lavorare. Parcheggio l'auto a due chilometri da casa, in un podere libero e torno a piedi, la casa deve sembrare sgombra, agiranno verso sera, forse tardo pomeriggio. 
Mi preparo tremendamente bene: mangio leggero, bevo una birra, giusto per far soffiare un po' di brezza nella testa, quattro serie da trenta flessioni sulle braccia: ho letto che i muscoli pompati di sangue son più scattanti e reggono meglio gli urti. Vestiti neri da motocross e casco in testa sempre nero, sciarpa al collo. 
Cerco dei guanti. 4 giri di scotch americano, quello grigio telato, attorno ai polsi, per non farli piegare o cedere, al momento sbagliato
Ho in mano una sbarra di ferro a sezione tonda, lunga 50 cm con raccordo finale pesante e curvo. 
Con la cancellina ci scrivo sopra: "COLAZIONE", questo sarà il pezzo forte, poi tirapugni in tasca, che non devo usarlo. Voglio essere sbrigativo, non sarà una guerra, sarà un lampo, un blitz.

Io da ora non esisto, sono un'ombra con la spranga piantata al braccio, le scarpe con la punta in ferro. La casa è sgombra, 
- Venite fanatici musulmani, fatevi avanti, slavi senza rispetto, eccovi la vostra colazione
Metto una sedia nel capanno, dietro il portone in legno, caffè in termos e sigarette, tre pacchetti. Solo cibi ipercalorici: arachidi, patatine, banane. Ungo i cardini, la porta è silenziosa come fosse fatta di nebbia. Ho una visuale fuori per un raggio di cinque - sei metri sul ferro di cavallo, come sulla bocca dell'inferno, loro non mi vedono, io si. 
Passano rare le auto, veloci, nessuno si ferma.  Intanto fa buio piano, il caldo migra nella notte, odora di fieno e polvere, i sensi si amplificano.

Dentro una Volskwagen Polo, poco lontano da lì:
"siamo in macchina, quasi mezzanotte, ho pure sbagliato strada, siamo vicini, ma cazzo vedo solo campi! 
Il big-bang formò il sistema solare in pochi istanti, e io, da un mese, non riesco neppure a dirle che dobbiamo smettere di vederci. Sta seduta accanto a me, dietro c'è Paco, collassato, bevuto tanto e fumato tanto, io soprattutto, ma non riesco a fare questo passo: dirle che è finita, basta cazzo. Ho pure fatto fuori un fanale alla macchina di mio padre e c'è puzza di tutto. Devo stare attento a non finire in qualche fosso, cazzo, non vedo niente, strade tutte uguali, le Moretti da 66 cozzano dietro ad ogni curva. 
La vedo che mi guarda, di taglio le lancio un'occhiata, non ci riesco, ora basta, fermo la macchina in questo spiazzo e glielo sputo in faccia. Tanto Paco è assente, perso nella suo viaggio mentale, come ogni sera, siamo io e lei e devo bloccare questa storia. Ora."
ore 1:00


Frenano, sento passi e risa, forse è solo uno che deve pisciare. Dietro la porta non li conto, vedo due persone, sento più voci. Stanno a meno di tre metri da me, di spalle. Pulsano le mie vene, torna il caldo.
Sono più piccoli di quanto mi immaginassi, ma non tentenno, nessuna assoluzione.
Il primo tira una bottiglia di birra che si schianta contro il muro, io son già scivolato fuori, sono parte del buio che li avvolge: quello più vicino a me ha una t-shirt bianca: I like Snoopy e ha un biglietto in mano, vediamo cosa mi han scritto, stavolta. 
Son qui per farli smettere, sono la Cura. Apro la porta, silenziosa, nell'erba, stringo la spranga, è il mio braccio che si allunga veloce sugli invasori.  Questa è la missione, il futuro, poi tornerò un fantasma, come prima. 
Il primo che colpisco è quello della bottiglia, il più grosso, il movimento è un fischio sparato dentro il tubo e il ferro lo prende all'orecchio ed ecco, vola giù, mentre il colpo rientra e incontra il ginocchio del secondo, assorbe ed urla, urla e si accascia a terra come un maiale scuoiato, allora come un triangolo alzo la sbarra che gli torna sul collo, ghigliottina, che rompe la clavicola e chissà cos'altro. 
Grida un poco, ma resta giù, come il primo. 
Non capiscono, non possono vedermi, quello piccolo scappa, lo tengo a tiro e gli pianto il ferro nella schiena, tra le scapole, urla come una ragazza, forse è proprio una ragazza e cade, le spingo il ferro sulla spalla. Le sfilo dalle dita il cartoncino, non è un biglietto, è una busta.
Sento il secondo raspare, prova a rialzarsi, io non ho ancora respirato, vado su di lui e pianto colpi a raffica, scendono da soli, come grandine Distinguo quelli che incontrano il terreno da quelli morbidi, che arrivano a bersaglio, attutiti. 
Quella messa peggio pare proprio maglietta bianca
La macchina è sempre accesa, borbotta a bordo strada, la targa è italiana, mi sposto per vedere meglio non leggo, solo un fanale funziona, butto dentro tanta aria: il baule è aperto! 
Stoc!
Come un morso alla spalla, poi al collo, un'ombra mi massacra con una mazza. 
- dammi la bustaaaaaaaa lurido caneeeee! è lei, è Snoopy, non capisco dove prenda tanta forza
Ora sono io a terra, con la spranga ancora stretta tra le mani, riesco a colpirle la caviglia, il rumore è secco, metallico un tinnnnn si propaga per la campagna, mi metto su Snoopy la osservo, il volto una piastra, perde bava dal naso e dalla bocca, grumoso sangue misto a sangue, le stelle sono anche a terra? Sarebbe stato bello averti incontrata altrove, forse.  Ho ancora la sua busta dalle dita e vado a prendere la torcia nel capanno, straccio la carta, Snoopy non respira più, ma è importante che io legga subito, devo capire. La calligrafia è minuta, la prima frase ha un andamento regolare che va pian piano ad inclinarsi nelle righe successive: 

Ciao Marco, so che dopo stasera non staremo più insieme, volevo solo dirti che non importa, se son stata per te solo terra, tu mi hai nutrita come pioggia….. 

mi scoppia la testa, il casco, aiuto non ci sto più, lo lancio via…l'una e nove. Io Snoopy tu non sei nuova di qui, ti ho già vista, ma dove?
Prima di prendere ancora fiato riesco a leggere altre due righe e poi vedo finalmente il micio, furtivo, scivola contro il muro del capanno e balza dietro il portone dove mi ero nascosto  prima, si lecca e mi fissa con quegli occhi verdi, come puntati dentro: 

- cosa hai fatto idiota, non vedi che è la tua vicina? Sono tutti tuoi vicini, hai sterminato tutti i tuoi vicini! 

Alzo gli occhi, incontro una luna bellissima, senza stelle e poi il buio.