venerdì 29 giugno 2012

Cassetto n°46



- come va, col libro?-
- non sto scrivendo nessun libro!-
-...e quella cosa che scrivi? Sei talmente bravo che ci vuole una      medaglia!-
per favore Alex, piantala! Adesso un giorno mi scarico tutta questa robaccia  nella chiavetta e te la stampo!-

- hai da bere? E poi no! Non voglio piantarla! Scusa ti da fastidio che ti dicano che sei bravo?-

- no, ma non vedo perchè dovresti star qui mentre scrivo!-
- tanto scriverai pur per qualcuno...-
- probabile, ma certo non è qui!-
- ha un nome, qualcuno?- 
- no, non ce l'ha, si chiama qualcuno!...Paolo, se vuoi!-

- non è che scrivi tipo solo per te? Chiudere cassetti o roba del genere?-
- guarda se anche lo sapessi, comunque, non lo saprei ora! Quindi...poi...fidati, Alex, scrivere è come rubare, pensa che accendo la radio o leggo brani a caso e copio intere frasi, le incollo, le separo-
- beh ma non è rubare...il pittore mica inventa i colori!-
- oh... mio Dio!-
- sai una cosa? Che è una vera figata, sta cosa...che scrivi-
tu credi?-
eh si! Chi lo fa più?-
- tanti, milioni, penso!-
- si credo che potrei stare qui a guardarti per ore-
vero! Ma ho appena finito!-
- Ah...-
- sai, alla fine lo so per chi scrivevo oggi...scrivevo per il silenzio, non per Paolo!-

martedì 26 giugno 2012

Cassetto n°45


La gente è off-line stasera, io amo parlarne con gli alberi, che filtrano luci, frane, aereoplani.
Filtrano me.
Nella loro attesa, che è la mia, le foglie dicono che aspettare è ascoltare . La casa è solo un concetto di stazione, di vetri. Non ne ho mai trovata una, di casa, o sul più bello dormivo o l'ho saltata, a metà strada.
Nessuna ansia, non preoccupatevi, mi adatto allo spazio, provo a incastrare posizioni, luoghi e sono un masso, dentro una cornice di legno.
Faccio scendere radici nella roccia, il legno davvero può, rompere la pietra.
Un masso sul quale, se penso, controllo l'umore delle stagioni e la luce,  una birra belga e una mezz'ora di tempo.
Se fossi permeabile alle nuvole, potrei controllare le ali dei moscerini, i miei cromosomi e l'idea di Dio.
potrei vederti dentro gli occhi.
potrei tornare a San Rocco.


venerdì 22 giugno 2012

Cassetto n°44


Fumo le Camel, le stesse di mio padre, ma l'amore, non l'ho mica mai capito cosa sia, a volte mi ci fisso a pensarlo, e vorrei catturarne un brandello, osservare un grammo d'amore grezzo, sottovetro. Ma cosa sarebbe? Surreale, tossico, un Caravaggio? Forse nuotare in un mare caldo e scuro.
E insomma, sono qui, a letto, che penso a questo e sono sveglio, ore 6:04, poi una scossa, schiena ritta e tutto comincia a tremare, un boato, lo stomaco, affamato, è nella terra. Conto le mie cose, le saluto, ma oggi non mi alzerei dal letto, crollasse tutto.
Amare Francesca era cicatrizzare una ferita ogni giorno, con cose buone, pazienza, per poi spargerla di sale, la notte e stare sempre, comunque nello stesso modo.
Si muovono gli oggetti, chiaccherano tra loro e non cadono, la casa geme e ancora trema, infissi doloranti come denti cariati. Ruoto la testa sul cuscino, il comodino, spostato di un metro.
Ora son fermo.
Francesca mi ha ucciso, il terremoto, invece, no. Sicario inesperto. Ogni volta che mi sveglio, che mi son svegliato, era terremoto e alluvioni, la sera.
Mio padre era un puttaniere, se le scopava tutte, ogni mattina tornava in bicicletta, fischiettando e lasciava un fiore alla mamma, sul comodino. Poi andava al lavoro, otto ore filate, in fabbrica.
Ho sempre pensato fosse l'amore, a riportarlo indietro, ogni mattina, notti di cui non si poteva parlare, a tavola.
Mangia la zuppa è calda!
Ma mamma era oltre, sopra le nuvole, dentro al lago, ghiacciata nel suo cristallo d'amore e babbo era solo dopobarba, camicia stirata e tanta bici, centinaia di fiori, su quel comodino.
Sono cresciuto, con quei fiori, nel bidone, mamma mi stava sempre accanto, cuciva e stirava, per un'amica ricca e colta, distante da noi. Mamma mi teneva vicino, ma io lo sentivo il battito, dietro la porta, il cuore, il suo cuore era nell'altra stanza, sul comodino.

Quel mattino di maggio, erano le sei, arrivarono tanti vicini, un vociare mesto e costante, poi più forte:
-hanno investito tuo padre, Marco! È morto!- vomitò la mamma.
In pochi scatti ero all'argine del fiume, la bicicletta, fil di ferro, come quello dei tappi di spumante, sottile, piegato, un lenzuolo bianco e nessun fiore, non vidi nemmeno la punta dei piedi, forse non era neppure là sotto.
-portate via quel bambino, quel bambino, dio cristo!-
Di tante cose non ho più capito nulla, da quel giorno, mamma s'infilò nella cruna del suo ago, per non tornare. Io rimasi fermo, dieci anni, a chiedermi cosa c'era dietro alla porta, sotto il lenzuolo.
Francesca provò a spiegarmelo, ma non l'ascoltai.
Frugando senza senso, tra i libri trovai, tre mesi dopo l'incidente, una lettera, il linguaggio era cortese, come gli innamorati:

Mio caro marito, mi auguro di riuscire a concludere questa lettera, ma voglio parlarti del fiore:
So che ami questa casa, so che mi pensi, lavorando alla pressa, otto ore, per me e tuo figlio, ma il fiore, il fiore non riesco più a sopportarlo. Ti sono grata di essere sempre tornato, ti sono grata per i silenzi, ma ti prego, smettila, smettila di portarmi quel dannato fiore! E scrivimi qui, sul tavolo cosa vuoi per cena.
Mariella
La lettera portava la data del giorno prima dell'incidente, e io capii. Capii che mamma non era gelosa delle altre, ma stava cominciando ad esserlo del fiore, capii anche perchè il babbo fosse morto proprio quel giorno:

-Ecco babbo, cazzo, non avevi preso il fiore!-
Per questo non tratto d'amore, preferisco ancora biciclette e fiori.

mercoledì 20 giugno 2012

Cassetto n°43

Sono fuori da un buco, alto due volte me,
là in fondo ho trovato questo:
un foglio bianco, carta e carbone.
Ma sotto, ho scolpito bene i pensieri.
Colpi, via, via levigati, mentre ritraevo proprio il buco.
4 giorni: il tempo della mente sul cuore
4 giorni per poter pronunciare qualcosa
Ho capito che prima era solo un buco, una parte.
Poi nulla, la mia camicia, spiegazzata.
E una ferita al dito, che, se succhio un pò il sangue,
è già chiusa. Guarita.
Esco.

martedì 12 giugno 2012

Cassetto n°42

il ragazzo che rolla una sigarettina, davanti a me,
ha ucciso un uomo,
usa poco tabacco, muove bene pollice e indice.
Tengo lo sguardo sulle sue mani.
Ha occhi verdi, come la plastica delle bottiglie di minerale e
capelli biondi, odora ancora di bimbo.
E un peso assurdo passa dalla sua figura, alla stanza, poi a me.
non ha ancora detto nulla, quando gli chiedo
-se non fossimo qui, a questo tavolo
e io dicessi che a te ci voglio ancora credere,
che occhi avresti per vedermi?-

lunedì 4 giugno 2012

Cassetto n°41

Ciao Emilia. Ti scrivo che è una mattina calda, che non so calmarmi,
che le carotidi mi parlano di sterminio, di polvere e di cani
Cerco suoni per sedarmi: YouTube, vinili, poi è stupido e passo al foglio, ma non riesco a bloccare niente.
La mente, scappa, tra le dita, allora la lascio andare e scrivo che i miei pensieri stanno morendo e litigano per il congelatore, per fare il pieno alla macchina, i miei pensieri piangono, anche per te, Emilia. 
Siamo esserini verdi, malati, come mio padre, che sarà il primo. Non belle persone, solo persone. 
Su dalla salita fangosa, con le unghie nere e il cuore spento, ho un bisogno assurdo di capire, di tenerti, Emilia.
Attendiamo un premio paradossale, come buono sconto per i nuovi clienti.
In cima, la rinuncia e uno specchio. Un orologio a metà.
Mi butterei sui fogli bianchi, ci vomiterei, se servisse a riempirli di colore.
E mi piango ancora addosso, a trent'anni. Non so fare, Emilia.