mercoledì 29 maggio 2013

Cassetto n°92

Seguivo mio padre, aveva il passo svelto, ma incerto, io tredici anni e delle conseguenze, sinceramente, me ne fotteva una beata sega
La sera prima, mi aveva scoperto: - Dove le hai prese quelle? - indicava tre taniche, cinque litri l'una, nascoste tra le coperte, nel vano di sotto.
- Acqua? Questa è acqua! Dove l'hai presa? - Voce rotta. Poi si è appartato, a telefonare, non poteva farci niente, il vecchio piangeva e mi denunciava.
Siamo in sei milioni in questa città, avrei potuto nasconderle ovunque, perché proprio in casa? Sciocco, colpa mia, colpa solo mia.
Avrei anche potuto non vederla, la fessura. Era una sera, di turno al lavoro, scavavo gallerie per i mezzi sotterranei, giù, alla Compagnia.
Quella volta trapanai qualcosa di duro, metallico, piantato nella roccia, scintille della punta del trapano. Lo spolverai, con cura, era circolare, un bel diametro, piantato all'altezza delle ginocchia con viti, circolari anch'esse, grandi quanto bottoni. 
Man mano che pulivo la superficie, un piccolo spiffero mi pungeva tra gli occhi, spostava i capelli: aria pulita,  brezza. A lato, comparve una fessura, la fessura che mi ha portato, oggi, a dover seguire mio padre, verso l'Interrogatorio. 
La fessura, che poi era una grata, aveva dei bordi in metallo, minuscole scritte e codici alfanumerici, tra la polvere e i detriti.
Alla Compagnia dei trasporti i turni erano veloci, incalzanti, eravamo quasi sempre da soli e il tunnel era buio, decisi così che avrei scoperto tutto, della botola, anche se me la facevo sotto.
I mesi successivi alternai il lavoro con gli attrezzi alla pulizia della botola. Fu incredibile scoprire che si affacciava su un bacino d'acqua, un bacino artificiale con una scorta immane di acqua.
Dovevo lavorare il doppio. A fine turno, coprivo la botola con sacchi di pietre, ghiaia e stracci presi dalle discariche. Finalmente avevo capito dove la tenevano.
Ricordo chiaramente, la sensazione che provai la prima volta che misi la testa nella cisterna dell'acqua. Provai un senso di chiarezza, come di pulizia.
Provai quella sensazione di quando trovi le chiavi esattamente dove ti ricordavi di averle lasciate, stessa posizione.
Il mio tubetto settimanale era già agli sgoccioli, giovedì. Lavorare tanto mi faceva venire una fame animale e finivo sempre per barattare sigarette e altri beni futili, che riuscivo a procurarmi in galleria, con altro cibo o pastiglie nutrienti.
Dopo un periodo in cui la vita umana era arrivata a coprire anche i centovent'anni, negli ultimi anni la longevità si era ridotta notevolmente a livello mondiale, colpa del cibo scadente, che ci fornivano le industrie farmaceutiche e delle pessime condizioni del clima, un caldo umido costante.
Una vita media si misurava, ormai, nell'arco dei cinquant'anni.
Animali, piante, ogni forma di vita, ridotta a poche decine di specie, tutte sotto la tutela della rigida Commissione Universitaria. Questo mondo, quello in cui vivete ora, ci stava lentamente dicendo addio.
Da quando fu abolito il denaro, intere famiglie, potenti e miserabili, tutti insomma, si trovarono sullo stesso piano. Fortune perse nell'arco di un mese, patrimoni naturali ed artistici abbandonati, sanità allo sbando. I soldi venivano bruciati nelle strade, tra carcasse di auto e carogne di cani e persone. Ci fu un periodo di lotte e sommosse rabbiose, guerre civili, brigantaggio, sciacallaggio, stupri. 
Dei gruppi autocostituiti presero il comando e, sciolti i governi, si formarono le Commissioni, che gestivano la cosa pubblica in modo rigido e unilaterale.
Si sarebbe lavorato unicamente per sopravvivere e, devo dire, che le cose, andarono anche meglio del previsto. Le Commissioni erano incorruttibili, spietate, disciplinate all'interno da un solido senso di appartenenza e di rispetto per la vita umana. Si basavano su un presupposto tanto logico quanto innaturale: tutti dovevano avere solo il minimo e persino all'interno delle stesse istituzioni, l'unica paga, era cibo e acqua: due litri, procapite, al giorno. La pena di morte venne reintrodotta, si uccideva anche per reati contro la cosa pubblica, soprattutto al patrimonio alimentare.
L'acqua restava il bene primario, scarsissima sulla terra, era la nostra forma principale di remunerazione e veniva distribuita da personale armato, direttamente ai nuclei familiari, con camioncini blindati, in proporzione a crediti per lavoro o altri meriti accumulati. 
Le Commissioni e la fame piegarono ogni volontà di trasgredire, corruzione e furto diventarono quasi nulli. Anche le famiglie si allargarono, e si passò a gruppi di venti, trenta persone, sotto lo stesso tetto, si divideva tutto, senza compromessi.
Non ci sono stati dubbi, per nessuno dei due, me e mio padre, tutto corretto. Sono stato trovato colpevole, coprirmi voleva dire morire tutti, sparire a livello civile.
Lo seguivo rapido, due fermate di metro, incroci, visi sfocati, accanto.
Il personale della Commissione disciplinare ci accolse in un'ampia stanza bianca, il bianco era il colore della Commissione, rappresentava l'impenetrabilità, l'assenza di ombre del sistema.
Un funzionario sbrigò alcune pratiche con mio padre, gli fece firmare dei moduli, io venni invitato ad accomodarmi in una sedia di una infinita fila di sedie bianche, spalle al muro. La terza sedia da sinistra, mi dissero, era così.
Mio padre era serio, ma non pareva più tanto esitante, sentiva di fare la cosa giusta, il mio atto andava sanzionato, segnalato.
Gli dissero di andare pure, sarei restato nel centro, per due settimane, per un modulo di correzione comportamentale, poi andarono a parlare nell'altra stanza, sentii dire capisco almeno una decina di volte. Poi disse un'ultima volta capisco salutò e chiuse la porta.
Con me furono gentili, mi chiesero i dati, se sapessi leggere e scrivere e dove vivessi. Compilai un modulo in cui dovevo descrivere esattamente tutto quello che sapevo sui miei familiari. Ci misi due ore.
Si concentrarono su un aspetto nell'interrogatorio: chi sapeva? Avevo parlato della vasca d'acqua con qualcuno, forse mio padre? Non mentii, nessuno sapeva dove avessi preso quelle taniche. Nessuno tranne me.
- La cosa importante è che tu, ora, ragazzo, sappia che non puoi più vivere come prima-
Intervenne il secondo, il tono era meno marziale:
- Hai fatto una cosa molto grave, capisci che tra un solo anno, a quattordici anni, saresti stato considerato "non recuperabile" e quindi, probabilmente, eliminato? -
- sissignore sono consapevole della gravità di quello che ho fatto! -
Ascoltavo, senza tradire emozioni, ero terrorizzato, ma ero abituato alla procedure, dalla nascita, riuscivano a rendere qualsiasi decisione talmente estranea dalla mia sfera di volontà, da dotarmi di grande acquiescenza ed accettazione.
I due agenti si ritirarono in uno stanzino, attesi
Poi venne una signora, anziana, una bella donna in tailleur bianco e mi chiese se mi andava un succo.
Certo che mi va.


Febbraio 2064
 Ora sono nella mi stanza, a diciotto gradi punto cinque di temperatura, la stanza che occupo, da sei anni, ormai. Non ho più visto mio padre, i miei fratelli, il mondo vero. Mi dicono poco, ancora, in generale, ma devo esser stato davvero fortunato, sono stato assegnato al programma di Conservazione e Promozione della Continuazione (CPC). Vivo in questo loft sotterraneo arredato, qua, a differenza di sopra, non manca nulla. Ho capito poco, di questo mondo sotterraneo, ma siamo le persone che non possono più avere contatti sociali, abbiamo informazioni incompatibili, con la prosecuzione delle attività delle Commissioni, in superficie, ma, per qualche ragione, non siamo neppure eliminabili.
Non siamo stati uccisi. Non so se ci siano altri posti come questo, ma qui saremo un migliaio, ci sono menti eccezionali, scienziati e progettisti che lavorano, cercano soluzioni, creano modelli per un futuro possibile, dalla mattina alla notte, spesso falliscono.
Ci sono individui dotati di facoltà mistiche, di previsione ed anticipazione, detentori di grandissime sensibilità. Non si entra qua sotto col denaro, questo spazio non è affittabile, chi lo conosce è perché ci vive, a parte una decina di persone in superficie.
La condizione è quella di uno stato di grazia, una prigionia dorata che, sotto ad un mondo agonizzante, pare più una promessa. Il mio è un edificio, al centro del parco di centinaia di ettari.
Animali, serre di conservazione e laboratori a centinaia, strutture sparse a cerchi concentrici nel parco. Tutto intorno al parco, le cisterne d'acqua, sempre più vuote, tra cui la C-1605, quella che trovai io, trapanando per la Compagnia.
Non ci dicono nulla del mondo, convivo con questa angoscia che, ormai, è un breve pensiero spiacevole, la sera, prima di dormire. Sono addetto alla manutenzione delle cisterne, ironia della sorte, controllo l'erogazione dell'acqua e tutti i valori, pressione eccetera.
Le persone, le ricordo, quasi tutte, ma non riesco a convivere con una immagine: il sole, piccola palla bianca, che filtrava dietro le finestre rotte dei palazzi sventrati, alle sei della sera. Sullo sfondo i fumi dei falò, luci tremanti e la gente che bruciava immondizia, sotto quel sole. Sono inquinato da quel ricordo, ossessionato, credo che diventerà presto insopportabile, l'idea di vedere ancora il sole, perché, ora, è il mio dio, la mia aspirazione. Ogni sera, prima di dormire, dopo lavoro e palestra, faccio un'ora sotto le lampade UVA, servono alla pelle e all'umore, dicono. Ma mentre sono là sotto, elaboro dei dettagli a quel ricordo, il numero degli edifici, i contorni, le sfumature di oro ed arancio, c'era qualcuno che gridava? O forse delle campane, battevano a tono?
Ti devi aggrappare a qualcosa
La sera, dormo sotto un enorme quadro che rappresenta una zattera di  superstiti, molto bello, oscuro, mi ricorda la mia vita di prima, la lotta. Mi han  detto che era famoso, di un certo Géricault, la Zattera della Medusa, credo si chiami.


Sempre Febbraio 2064
Questa maledetta aria inquinata rantola giù, nei polmoni, come aceto, centelliniamo l'acqua dentro bicchierini graduati e personalizzati, verso sera, via via, sempre più vuoti. Nessuno in famiglia beve l'acqua altrui, sarebbe come ucciderlo, di dieci figli che ho, quattro hanno una tosse molto brutta, siamo in attesa delle cure, ma il sistema è intasato e ci vorranno giorni. Il loculo di appartamento che ci affitta la Compagnia basta appena a mettere i letti per tutti, ma la casa l'abbiamo, almeno e costa poco.
Mia moglie sorride sempre, sa perdonare e coltiva pomodori e insalata, praticamente senza annaffiarle e ride, la benedico per questo.
Prendo il contenitore del tabacco, fumare in questa città, è come prendere boccate d'aria fresca, mio padre, suo padre, fumavano, al diavolo le bombole che la Commissione ci noleggia per l'ora di ossigeno puro, ho altro a cui pensare. Le mie le lascio a mia moglie, vedrà lei.
Sono sei anni e tre mesi che manca David, mi è stato garantito che è stato affidato presso una famiglia, sta bene ma non posso sapere altro, e piano piano ho smesso di chiedere.
Non potevano ucciderlo, troppo giovane, lo sapevo ho studiato la legge, con le Commissioni non puoi non conoscere il codice.
Mi appoggio alle assi che dividono il nostro appartamento a quello dei vicini, noi siam fortunati, loro son ventidue e hanno un appartamento identico al nostro.
La vita è dura. Guardo il sipario del sole che scende e aspiro forte, il tabacco dalla pipa, misto al lavoro di oggi e alla cena saltata, mi fa girare la testa, vertigini.
Mi sembra di planare giù, per questi trentasei piani, sto un po' meglio e cerco di ignorare il fatto che tante volte ho pensato di farlo davvero, di buttarmi, ma poi passa.
Credo che mettano qualcosa apposta nel cibo, nei tubetti e l'idea di farla finita, pian piano, svanisce.
Ne parlavo coi colleghi, anche ieri: una quieta rassegnazione che ci dice "le cose van portate avanti, il lavoro va svolto" se vogliamo l'acqua. Il proprio ruolo va occupato. Lavoro anch'io alla Compagnia, come il mio primo figlio, David, lo feci assumere io. Ma dopo di lui non vollero più nessuno della nostra famiglia, nell'azienda, ragioni interne. Io sento che David, ogni tanto, pensa a questi posti, so che non è arrabbiato con noi.
Sconto la condanna di averlo perso, vivendo. Perché il tarlo lavora, mi ruba il sonno, perché la mia fede, la mia incorruttibilità han vacillato. Io rubo la mia vita, la regalo ai miei figli, io non ne son degno. Io, come Abramo, ho mostrato massima devozione, pur abbassandola, la mia spada, e ho ucciso mio figlio, per come lo conoscevo.

Perché non dissi a nessuno del bigliettino di David, piegato dentro il mio portatabacco? E delle trenta taniche d'acqua? Io, a questa cosa, qui appoggiato a fumare, ora, non so proprio rispondere.




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