martedì 18 giugno 2013

Cassetto n°93

Come riannusare puzza di gasolio, fottuta, buonissima puzza di gasolio bruciato, che ci portavamo nei giubbini, nei capelli, dopo essere scesi dal motore e io ti stavo aggrappato dietro, le ginocchia sfioravano le carrozzerie negli slalom.
Lasciare mezza caviglia appiccicata alla marmitta, ogni tanto.
La notte era la Colonia Varese a chiamarci o qualche casa in costruzione, la pineta, con le torce, a spiare puttane e clienti, la paura di trovarci i nostri padri.
Sempre il rischio, come metro di giudizio, un rischio buono, condiviso. 
Ho un ricordo migliore delle prime cose, paradosso della memoria, quelle cose che te le ricordi sbiadite, come se i ricordi vecchissimi fossero in bianco e nero, che li fissi appena e son già cambiati, una nostalgia a presa rapida, veloce.
Era facile divertirsi, perchè qualcosa da fare, un posto da vedere, un tipo da incontrare, c'eran sempre. 
Come la zucca di Halloween, caduta di sotto sulla Mercedes di tuo padre, il tempo appena di pulire, poi dei gran horror, a rotazione: la Casa, Michael Myers e Jason, da te non si dormiva mai.
Era la tua la casa che volevo, il tuo cane, i tuoi spazi, che diventassero anche i miei.
Entravo di nascosto nella camera di tua sorella, a vedere il murales di New York, la statua e le finestrine illuminate dei grattacieli.
Era assurdamente bello, per me, poter avere un graffito in camera.
Ci ho pensato ora, che il fresco di una serata estiva mi ha portato da te: un legame immediato, genetico, come le molecole dell'acqua.
Le cose che son così e basta, che non le discuti.
Viale Roma, come base, un Phantom Malaguti rosso, tu che mi creavi gli agganci, poi mi lasciavi andare a conoscerle, a farmi strada, restando dietro, lanciavi le mode, o forse anche tu, le seguivi. 
Andava benissimo così.
Solo le mie sigarette, spreco di soldi, ti faceva incazzare, che vedevi un mondo di cose da fare e così poco tempo per star lì a sporcarmi un pò, come mi è sempre piaciuto.
Io ci son delle cose, che non riesco proprio più a vedere: come l'incrocio del tuo incidente e le scritte di anni fa, che rimangono, nel sottopassaggio a Savio, nelle ringhiere del campo da basket.
Le sono andate a cercare, meglio di ogni fotografia, fisse, scorrono il tempo avanti e indietro solo a toccarle, le scritte, il rilevo dell'Uniposca sul metallo. 
E provo a cercarti, Riccardo, mi metto in te.
Rientro in casa tua, come quella volta che misi i sassi sulle rotaie, il treno dovette frenare.
- Mi hanno beccato! e ricordo te, che mi aprivi:
- Qua non ti beccano, qua non ti beccano! -
Ora smetto di scrivere, anche quest'estate è esplosa, sento il ticchettio della strofa, che a Mirabilandia, nell'ultimo juke boxe della Romagna, faceva così:

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