sabato 15 febbraio 2014

Cassetto n°117

Ho ritirato quindicimila euro, in contanti, alla mia banca il Credito Cooperativo, appena ha aperto stamattina e me ne sono andato a cercare Giulio, per proporgli un fatto.
Accarezzavo l'idea di una colazione corposa fin dalle prime luci del mattino, ma una volta davanti alla vetrina delle paste del Caffè Farini, lo sguardo mi si è spento: plastica, sono solo di plastica le cose qua.
In un altro bar fuori un uomo con un molosso enorme al guinzaglio ostruisce lo specchio della porta, Buongiorno!
- Ha visto che cane?
- Ho visto, bello
- Si, ma ha visto che cane?
- Ho visto, bello
Sento che potremmo continuare così per ore, quindi gli faccio sereno il gesto di spostarsi, giusto un pò, e lui esegue, la bestia ringhia, lui emana colonia di ottima qualità.
Un bellissimo cane, ma non voglio perdere il filo di quello che devo dire a Giulio, una cosa davvero pazzesca. Mi volto e rivedo il cane, ma non è poi così bello, è uno di quei grossi cani dalla testa enorme che riempiono il mondo di bava a spessi fili che ondulano nel vento.
Riparto per il mio giro e davanti alla stazione ecco Giulio, tutte le parole si affollano, devo partire col piede giusto e dirglielo subito, in verità però lui sembra seccato di vedermi.
- Che ne dici se ti offro la colazione, Giulio?
- No, non posso, sto aspettando Simone, quello del liceo, ricordi? Scende oggi da Milano Mi dice
- Non c'erano Simone al liceo, mi pare
- Ma dai, Simone Spighi: golfino a rombi, allevava canarini nelle cantine del suo palazzo, poi un giorno gli sparirono tutti e lui andò via.
- Si, ora ricordo, ma quello era Luca Bezzi, il ferroviere.
- Ti sbagli, era Simone Spighi, ricordo bene d'estate montavano sempre la piscina nel suo giardino e un giorno, là dietro, mi trombai sua sorella
- Va bene, allora la faremo domani. 
Proseguo il cammino e passo dai giardini Speyer, la giacca ben aperta, ho voglia di farmi derubare, la busta coi soldi esposta all'aria, accarezzo le mie belle banconote oh si si, prendetele.
Penso a Luca Bezzi, o Simone Spighi che sia, e arrivo in piazza San Francesco, tra una pozza di vomito e la tomba di Dante Alighieri, l'illuminazione è sempre accesa. Tanti euro
L'idea che avevo pensato di dire a Giulio già mi pare in realtà, una mezza cagata, meglio non averla detta, che a star zitti tante volte...
Il tunisino è veloce, passa il pacchettino, io i soldi. Gli mostro di sfuggita tutti i miei risparmi, casomai li volesse, ride imbarazzato e soffia fumo dal naso. ma non li prende, prende me per pazzo e basta. Si allontana scuotendo la testa e ancora ride. Dio quanto vorrei battermi per qualcosa.
Sono in piazza Caduti, sotto il palazzo della Provincia, alzo la testa e c'è la mia finestra: 30 anni seduto là dentro, a smistare pratiche, non vorrei, ma ci ho lasciato molto.
Quando stavo là dentro, otto ore ore al giorno, credevo che non avrei mai odiato nulla come quel lavoro. Con tutto il cuore, eppure per qualche attimo, sento che potrei stare lì dentro ancora un giorno, anche su una mensola. Era un mondo piccolo, quello del lavoro, poi c'era Camilla.
Lei era il mio capoufficio, facevamo l'amore spesso e bene, nel suo appartamentino alla darsena, dopo il lavoro, poi mi preparava il pranzo ed un caffè, fumavamo. Cristo, era dolce il ritorno a casa, dopo. Eran neanche le quattro, ed ero già un uomo fatto e finito, in pace con tutto e con la pelle del pisello attaccata ai boxer. Penso che sia stata solo Camilla, la ragione della mia carriera in Provincia, insieme alla mia fretta.
Prendo le cartine corte e un caffè.
Fuori, sul parabrezza di un'auto han scritto col dito: siete morti: han ragione.
Io capisco perché sta città, Ravenna, la chiamavano la triste, ma a me piace, senza un motivo particolare. Mi ricorda Camilla, e quei ritorni a casa, sognante, a grattarmi di tutto.
Ogni mattina esco, ritiro tutti i soldi che ho e prendo la via, pensando di farmi fuori o di prendere un treno per chissàdove, che succeda qualcosa di assurdo, rocambolesco. Poi una forza ottusa mi riporta al mio appartamento. Sempre alla stessa ora, alle dieci: è l'abitudine.
L'abitudine è il mio orrore, l'ordine, la prevedibilità, non credevo sarebbe stata tanto atroce e scontata, la mia vecchiaia.
Sono le dieci ormai, che è un'orario che comincia ad essere piuttosto critico, perché dalle dieci, di solito non succede più niente per tutto il giorno e torno in banca, rimetto i soldi nel conto.
Mi sento già meglio perché inizio ad essere anche stanco, è stato sempre un mio problema pensare troppo, la mattina.

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