giovedì 26 giugno 2014

Cassetto n°133

Salcantara, dietro la collina del mio paese, era una lingua di terra piena di fascino, un fiordo antico, snello come la nonna di Lucio.
- Quanti anni ha, tua nonna?
- Centodiciassette e fuma.
Era l'obiettivo del pomeriggio: realizzare un cortometraggio su Salcantara: perché gli abitanti di Salcantara non litigano mai, perché? Non lo avremmo girato quel giorno, ma eravamo tre colleghi, in appuntamento, per raccogliere le idee.
Elvis, l'addetto video, sarebbe entrato in azione solo nell'ultima fase, per ora si limitava a sorbire una granita al lime e a consigliare di lavorare dopo le cinque del pomeriggio, quando il sole scende e riempie di ombre i calanchi profondi delle colline in argilla.
- Colline come elefanti bianchi, pensavo.
La storia, la trama era il mio compito: cosa volevo rappresentare? Salcantara, brutta solo in foto, era un mondo che dovevi toccare con mano, per capire. Volevo fissarne l'immobilità, trasmettere l'assenza di richieste di quel  luogo.
Lucio, il produttore e sponsor, non capivo perché volesse tanto questo film, doveva essere originario di queste zone, lui, poi era salito per lavoro, ma da come stava seduto con le gambe incrociate, sul cuscino del bar, a fumare, si vedeva che era a casa.
Eppure era un paese in crisi, dalle tasse altissime e dal clima paludoso e sulfureo, il mare aveva perso gran parte del pesce e avevano costruito degli orribili casermoni cubici, con piscina al centro, dove avevano sperato di chiudere le giovani coppie, schiave di qualche promessa.
La gente si svegliava, lavorava e moriva. Era normale vederli scendere tutti, in fila indiana, la sera, dalle colline terrazzate verso la lama obliqua del mare, un richiamo argenteo di piazza, musica di chitarre, quasi niente da spendere, ginocchia nere come tizzoni al sole.
Eran spariti dai supermercati gli ultimi sacchi di riso, eppure la gente riusciva a mettersi sulla strada, con leggerezza, quasi che l'assenza di ambizione e di prospettive, avesse depurato Salcantara da ogni istinto di sopraffazione umana. Era comunismo utopico, in un paese che puntava dritto all'implosione naturale. L'umanità viveva nei bar di Salcantara, le serate più lunghe, i dehors più affollati e, se una barista ti passava un caffè annacquato, dentro una latta di fagioli lucidata, lo faceva col sorriso più pieno e gentile che mai avresti visto.
- Questo documentario non vuole partire. Pensavo, infastidito dall'odore di mughetto, che impestava le salite consumate del centro, d'altronde se non c'è nulla, che fai?
Cammini e ti lisci la barba, se sei donna, ti aggiusti gli abiti, mai una piega, la forma vive anche nel poco, anzi, sopratutto nel poco.
- Ci vorrebbe roba forte, tipo la storia di qualcuno che si lancia da uno scoglio, che non arriva alla fine del mese.
Tutti avevano appena quello di cui avevan  bisogno, era dolce, la sera sul golfo di Salcantara, un promontorio senza luce elettrica. 
Allora pensammo che fosse il mare, la causa, il mare è sempre più ricco degli uomini che vi ci abitano, ma il mare è ovunque, non si sapeva da dove riprenderlo.
Era una sera ventosa, Lucio, silenzioso, saltava ormai ogni cena, era ossessionato dall'andamento delle mie idee.
- A che punto sei? Hai capito? Spiava febbrilmente i miei scarabocchi, li chiamava appunti. Elvis era visibilmente fuori fase, stanco, lasciava sempre meno nascosta l'intenzione di lasciare Salcantara
Un pò Portogallo, un pò Grecia, Malta, questa Salcantara. 
Ho trovato da dove dobbiamo partire.
Salimmo su per i sentieri, verso i monti, che erano le cinque e mezza.
Una sera ventosa, avevo Lucio di fianco a me, era sempre più magro e dritto, mi ricordava quegli scheletri che ci sono nei film, nelle classi dei licei americani.
Ci dividemmo l'attrezzatura di Elvis: cavalletto e macchina da presa io, una valigia di pellicole, lui. La salita era impegnativa, una parete sgretolata, un lastrone unico di granito e gesso traslucido nel sole. Lucio era in testa, arpionava le rocce e le radici con le punte delle All-Star, sembrava posseduto. Io dietro, Elvis, pesante, sbuffava elencando una lista incomprensibile di bestemmie, nomi di ex e qualche verso  grugnito che poteva essere il nome di un calciatore degli album Panini.
- Manca poco. Questa fu la frase che per quarantacinque minuti di protratto sforzo fisico Lucio ripeteva ad intervalli regolari
- Manca poco
Intanto ci alzavamo su Salcantara, erano le sei e mezza, il sole cominciava a tingere il mare di lamelle di fuoco: fucina del fabbro del mondo, l'isola piombava nell'oscurità, senza proteste, senza l'arroganza dell'elettricità.
Elvis era tornato indietro già da un pò, ma avevamo la telecamera ed era ormai una cosa tra me e Lucio, volevo vedere, anzi sapere, dove mi stesse portando. 
- Non dirmi che manca poco, o ti ammazzo
- Manca poco.
Eravamo molto alti, un migliaio di metri, forse, quando sentì l'odore.
Arrivati, la punta del monte sopra Salcantara, era uno sperone nero e curvo, il becco di un enorme corvo, che sbucava dalla terra.
- Vieni, lassù vedrai
La vegetazione era ormai sparita, e la luce stava lentamente lasciandoci soli, lassù.
- Questo! Eccolo. Saliti sulla punta, scoprii le mie vecchie vertigini, il vento divenne impetuoso, mischiava odore di terra e ginepro e mirto, come un mulino. Lucio era paralizzato, guardava tanto lontano da farmi perdere l'equilibrio. Pensai che sarebbe stato assurdo portare lassù l'attrezzatura, per girare.
- Vieni qui, amico. 
Arrancai di fianco a Lucio, la paura sotto le suole delle Timberland, lui era in alto, non poteva essere più in alto, io poco sotto.
Rischiai lo sguardo in avanti e rimasi senza fiato. Salcantara era la punta più esterna, ma dietro di lei, a perdita d'occhio, tante altre lingue di terra, simili, si perdevano a distanza dell'imbrunire, parallele come costole del medesimo torace.
- Le vedi, sembrano fatte per essere gemelle, eppure nessuna è fuori quanto lei.
Il mare intorno a Salcantara era il più scuro e agitato, perché è così che l'uomo vive, nel buio e nell'incertezza.
- Vedi, avevamo ragione, è il mare.
- Mia nonna non c'è più, da oggi pomeriggio. Ha vissuto sempre qui, a Salcantara, per un secolo e quasi altri vent'anni
E quelle parole, dentro quel vento maestoso, nella nostra distanza dal suolo, mi parvero il più bell'addio che avessi mai sentito. Poi qualcosa, dietro di noi, si mosse.

Nessun commento:

Posta un commento