sabato 16 marzo 2013

Cassetto n°82


Era il nostro primo lavoretto e noi si provava ad alzarsi sempre prima, ma non c'era niente da fare, a qualunque ora si arrivasse, c'era sempre il gruppetto di sei, otto contadini, in assetto, a raccogliere l'uva.
-è questa l'ora di arrivare? Cosa avete fatto ieri sera, pugnette? -
Questo era il buongiorno per me e mio fratello, ogni mattina. Provammo, allora, ad arrivare alle sei, alle cinque  e mezza, alle cinque, ma erano sempre lì e avevano raccolto sempre un bel po' di roba, per già più di un'ora, a sentir loro.
Ogni volta battute, inchini e sberleffi, per dirci che eravamo segaioli, pivelli. 
Mi pare di aver pensato che in realtà quei tizi non andassero mai a casa, forse vivevano in quelle vigne.
Stare in questi posti era come partecipare a dei laboratori sociologici continui, ci sentivamo crescere dentro. C'erano quelli silenziosi, che macinavano cesti su cesti d'uva, macchine da raccolta che potevi solo guardarli in silenzio. Poi ti giravi un millesimo di secondo e avevano un MS accesa, in bocca: magia.
Altri non facevano praticamente nulla, le loro principali preoccupazioni erano Berlusconi, i ladri del governo e fare battute sulla moglie di Gianni, la Severina. 
Gran bella donna, questa Severina, dei bei tempi andati, si vociferava, avesse mantenuto oltre a buone eredità terriere anche una testa molto aperta, come le gambe, del resto.
Nella sua vita, a parte sposare la Severina, Gianni aveva sempre e solo raccolto frutta, era uno di quelli della sigaretta istantanea.
La caratteristica di Gianni era il suo enorme fisico, praticamente il connubio tra una quercia canadese e una di quelle statue sovietiche della propaganda comunista, il tutto con la pazienza ascetica di un felino. Gianni parlava pochissimo, i suoi erano quasi sempre benevoli consigli sul lavoro da svolgere, era stoico, nel sopportare battute e allusioni riguardanti i rapporti della moglie col medico di base, con l'assessore e perfino col vù cumprà del Conad.
Avevamo tutti paura di Gianni, per questo si cercava sempre di attaccar bottone, di non lasciarlo troppo solo, a rimuginare.
Niente, arrivò il giorno che io e mio fratello non andammo a raccogliere, credo fossi malato o non ne avevo voglia, non so. Il giorno dopo, arrivati ancora più tardi del solito, notammo un silenzio e una tensione surreale, subito venne Franco, a passarci le cesoie, ci disse quel che sapeva.
Alle sedici, il giorno prima, pare che Gianni avesse preso per il collo Bruno, nell'unico momento in cui quest'ultimo non stava parlando male della Severina. Pare, ci disse, che l'avesse trascinato, come un tappeto arrotolato, tra i peschi, nessuno si era mosso, nessuno lavorava. Fermi.
Arrivati in un luogo riparato, pare, l'avesse fatto inginocchiare e, tenendolo per i capelli, gli avesse mostrato, da vicino, il suo segreto più grande.
- se sento un'altra parola su mia moglie, su qualcuno della mia famiglia, questo te lo parcheggio in culo!-
Gli tirò fuori il cazzo, a pochi centimetri dalla faccia. Da sempre c'era una leggenda, su entrambi. Di Bruno si diceva che avesse avuto milletrecento donne, perlopiù sfruttando prestiti di auto di un amico carrozziere, che gli forniva sempre Jaguar e BMW, dalla sua carrozzeria. 
Gianni, invece, oltre che cornuto, si diceva che avesse un' appendice riproduttiva del diametro di un gancio da traino-trattori. Se questi fossero stati uomini rispettosi delle regole, Gianni avrebbe,  già da tempo, dovuto fare vedere quest'arnese a Federcaccia e Questura.
Dai racconti dei presenti, Bruno tornò dal frutteto barcollando, occhi vitrei, con un colorito che fece pensare che, forse, il diametro reale era di due ganci-rimorchio. Aveva subìto quello che gli esperti chiamano: "stress da arma puntata" una sindrome che di solito colpisce ostaggi di sequestri e rapine. Gianni si rimise a lavorare di buona lena, dopo aver aspirato l'ultimo tiro della sigaretta, lasciata appoggiata ad un ramo.
Presto la vendemmia finì, l'anno dopo io lavorai al mare, mio fratello in fabbrica, ma quel gruppo di vecchi catarrosi, intenti a insultare la reciproche mogli, mi rimase sempre caro.
Mi piace pensare, a volte, a Gianni, che, paziente e maestoso, scende dallo scaletto per raccogliere un grappolo più in alto, mi piace pensare anche a Bruno, forse meno allegro di prima, alla sua chioma impomatata e a quella fronte che trattiene, a stento, due gocce di sudore. 
Freddo.

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