lunedì 2 settembre 2013

Cassetto n°101

PEZZO 3 digerire (con una sigaretta) 
Entro in studio alle 15:00, il telefono già squilla, lavo il pavimento del Perla Nera Tatto, vengo qui da apprendista, da un anno imparo da Marco a tatuare. 
Adesso, ad esempio chiama uno, di Bologna, vuole una madonna nera, su tutto il torace, Marco non fa mai una piega, riattacca e mi guarda: 
- ma a Bologna, i tatuatori, non ci sono? 
- Questo tanto non viene! -  e tiro una riga sull'agenda, lui va a farsi un caffè, è pieno di lavoro, non si sbilancia mai.
 Vado all'appuntamento per affittare uno studio solo mio, parlo sempre da solo così potrei preoccupare la gente, ma sono anche uno che porta colazioni da un anno a una ragazza sconosciuta. 
Appoggio il motorino e percorro il marciapiede, i graffiti, le scritte scorrono sul lato sinistro degli occhi, mi fanno compagnia, queste le linee nei muri.
43, 41, 39! Eccolo!
-Questo posto è il migliore, finora, mi piace la scala a chiocciola, in mezzo alla sala.
Il giovane dell'agenzia, avrà due anni più di me, non si lascia prendere dal mio entusiasmo
- per 600 al mese non ce la faccio, se solo arrivassimo a 500…
- il titolare è stato chiaro, è il minimo che possa fare, senza calcolare la nostra commissione, tra l'altro...
Qui ci starei bene, cazzo!
- lei mi dica quanto potete scendere
- non possiamo di più, le ripeto siamo già scesi...
La zona è centrale, i portici, una vetrina e un marciapiede, su due piani.
- C'è il fatto che il proprietario è molto, molto, molto anziano...e che forse le interesserà sapere che in questo momento è in ospedale, in condizioni pessime, disperate, direi
Mi gira intorno è magro, curvo come un' insegna stradale, sulla sua cartellina. Calza mocassini neri ridicoli, ortopedici..
- Certo! E il figlio è molto meno attaccato al negozio, forse con lui si potrebbe discutere per cinquecento, forse anche qualcosa in meno, non credo sarebbe un problema 
Stamattina, ho portato per la trecentosettantesima colazione a Margherita, proprio sotto la sua portafinestra,  in periferia a Milano, Quarto Oggiaro.
- Un anno di colazioni, a casa mia! Mi disse, - poi, forse, potremo uscire insieme. 
Torno verso il motorino e penso a quanto eravamo ubriachi, quella notte all'Alcatraz, a me pareva quella giusta, che si potesse incastrare a me come un secchio di plastica nell'altro. 
La mattina dopo ero sotto il suo terrazzino, non l'ho più vista o sentita, ma ha preso ogni giorno quella busta.

Tra concessionarie e capannoni in vendita porto pasta e caffè a casa di Margherita, in motorino, venti minuti , poso il pacco tra mattonella e vaso.
Torno in centro e passo la mattina a fare dei caffè, ho un papillon viola e apparentemente mi diverto pure. Mi piacciono i borghesi, sono innocui, ipocondriaci, con la malattia della ricchezza. Amen.
Ho sempre cercato i posti dove provare a capire le persone: gente strana, hanno tutti paura di essere affetti da normalità. Scherzo di loro, con loro.
Rientro a casa, carico la dose di morfina ad Anna, la bacio e mi cucino due uova e formaggio, scambiando qualche parola con la badante mentre pulisco bene il piatto con un pezzetto di pane: Dora mi osserva, vive qui sotto. 
Gesti spontanei, automatici. 
Apro il frigo, vuoto, mi vien voglia di entrarci e  rannicchiarmi per dormirci dentro: per domani non ho un cazzo.
Dora sostiene che devo mangiare fuori per conoscere le persone, certo, per smuovemi. 
- Allora, dove sono i venti euro che ti ho dato per la spesa, che ci vado a cena fuori? 
Lei tace, guarda il pavimento
- Comunque oggi non ti pago, fammi causa! 
Se ne va, ci vuole bene, ha una cura maniacale della casa, della pulizia, sembra che sia casa sua.
Il giorno dopo, torno a casa prima, nel traffico, supero un camion, carico eccezionale, sirene arancioni, fumerei almeno da tre ore, ma incontro solo semafori rossi.
E' allora che vedo l'uomo a cavalcioni sulla ringhiera del cavalcavia, venti metri sopra l'autostrada. Accosto, che fa lì? Domanda cretina
- Ehi lei! Che fa lassù? 
Non mi sente, non si muove, ho il cellulare scarico.
Se aspetto che un vecchietto muoia, per affittargli a meno il negozio, non sono quello che si ferma. Vorrei, ma non lo sono.
- Spero di ritrovare là dietro, i sogni che ho perso, qui -
E qui, a casa mia, per fortuna, c'è Sansone sopra un mucchio di libri e sbadiglia ogni volta che entro. Sansone è bianco, più bianco della parete.
Chiudo la porta, uno stridio, sembra un urlo. Il fatto è che, da vent'anni, la riapro ogni volta e aspetto, per capire se è reale. Sansone, sempre più bianco della parete, stira le zampe verso di me, si volta. Non ho fame. 
Vado in camera, bacio Anna e le cambio la dose di anestetico. Dora è passata, ha steso la lavatrice, non ha fatto altro.
Mi rollo un cannone di buonanotte e aspetto il sonno, l'appartamento spiffera e mette in testa cose che non fanno dormire. 
Ad esempio, che non ho lavato i piatti, che domani saran lì, pazienza, dormo.

No, invece non dormo, magari potessi, penso al tipo del cavalcavia 
- Ehi leim che diavolo ci fà lassù?
Lui mi sente e si volta, come mi aspettavo:
- Spero di ritrovare là dietro, i sogni che ho perso, qui -
cazzovuoidamecazzvuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidacazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidamecazzovuoidame…
Forse sogno, ma c'è una grande fila di gente, borbotta e parla, fa caldo, son là dentro da molto e spingono.
Satana è un tipo davvero richiesto, deve avere un'ufficio così, penso.
Riaccendo il cannone, tiro e lo smozzico fuori dalla finestra, ma cade e si porta dietro un po' di luce, dritto. Magari qualcuno la chiamerà pure: stella cadente.
Nel punto dell'impatto il sangue segue diritto le linee delle fughe, tra i lastroni del marciapiede, in giro mucchietti di roba chiara, schizzi viola a raggiera, sotto il lenzuolo, liquidi che si ordinano nelle fughe, precedentemente descritte e colano disciplinati in rigagnoli dritti dallo scalino sull'asfalto. Piccoli fiumi densi: plic plic plic
Un orologio a pile che non smette mai di ticchettare, lo si ascolti o meno, lui fa il suo lavoro, con una regolarità assoluta.
-Uno ben vestito, era uno ben vestito quello lassù, roba da matti!  La tabaccaia si sbraccia con il poliziotto, indica in alto.
L'agente annota, staccherà dal lavoro tardissimo, domattina, tanto ci ha fatto l'abitudine, annota i ricordi della signora, su della carta riciclata con precisione.
Un padre e un bambino: - Cosa pensi papà?
- Nulla, amore...
Sono corpi violenti, hanno subito il battesimo della gravità. Così pensa, che sono corpi che hanno perso i volumi, con colli lunghi come sgocciolature di candela, braccia ad ali, all'indietro. 
- …E che cazzo un po' di segatura, qui no? Ci sono dei bambini! - 
Il poliziotto lo guarda male, di che cazzo si impiccia? 
L'altro passa in fretta e copre col corpo la vista a suo figlio, che non doveva vedere, ma vede tutto, e ne è pure deluso. 
Un cervello fuori dal cranio starebbe si e no in due barattoli di yogurt. Ne resterà ossessionato per anni, quel bambino, dalla pochezza della realtà rispetto alla sua fantasia. Aggirano la zona isolata dai nastri e dai cartelli e vanno oltre. E io, ancora, non posso dormire
Una chiamata persa alle 23:16, richiamo, squilla libero.
E' quello dell'agenzia, vuol vedermi domani, il vecchio è in un coma irreversibile e il negozio è mio, a cinquecento
Mi calmo, ma decido che rifiuterò il negozio, ho altre mille cose da fare. Andrò là domani solo per dirgli questo: - Non lo prendo! 
è un'assoluta sensazione di pace, che respiro, entrando nel sonno, non nero, ma bianco, più bianco della parete, sento respirare piano nella stanza accanto e mi assopisco.
Terecentosettantunesimo giorno, la mattina vado a lasciare la trecentosettantunesima colazione, l'anno è passato, resta solo un altro motivo per non cambiare. 
Per una buona volta mi decido, spezzo il circolo: suono il campanello! Coperto dall'edera, lo premo sulla scritta del cognome di Margherita e schiaccio una foglia contro la plastica. 
Niente, suono tre volte, non rispondono. Giro dietro la casa, la macchina c'è: una Opel Astra verde, come sempre. 
Vado dai vicini, e suono pure lì. Esce una vecchietta sa di chiuso e mastica la colazione, mi guarda come fossi un fantasma mentre un pezzetto di biscotto le cade dalle labbra.
Mi risponde che la famiglia di Margherita si è trasferita, almeno tre mesi fa, non ne sa più nulla e che anzi devono pagare ancora dell'affitto. 
Tre mesi fa. 
La cosa più sconvolgente è la mia mancanza di delusione, mi accorgo mentre la saluto, quella mi dà il buongiorno. 
Lascio la busta nel solito posto, non vedo nessun motivo per non farlo, proprio oggi. 
Salgo sul motorino nello specchietto la parte superiore della mia testa sembra un gatto che riposa, sotto il cielo enorme. Saluto le case, il profilo dei palazzi, metto in moto e schizzo via, veloce, come su due ali nuove e volo. 

In un equilibrio perfetto.

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