martedì 3 dicembre 2013

Cassetto n°109

Cena studenti liceo scientifico statale, dieci anni dopo. Ecco il mio tempo del che fate ora?
Del chissenefotte,  del compro e rivendo mobili, del curo emorroidi per cento euro l'ora, sono cassaintegrato in pigiama a casa, tu invece? Sempre uguale, oh ma non invecchiate mai, ah è morto mio padre quest'autunno, io faccio la mamma e la moglie a tempo pieno son tanto felice.
Io nella vita sono uno che si sbatte ma soprattutto una penna a scheggia: agile, veloce e incazzata, scrivo poco ma secco. 
Dopo il sorbetto e il caffè, dopo aver coronato il pasto a base di risotto e sarde grigliate, ecco i pensieri diventare fluidi, oblunghi.
Chi non sarebbe neppure voluto venire se n'è già andato, si inizia a sentire qualcosa di vero: l'alcol ha sparso un tepore soffuso di interesse e rumore di sedie.
- A cosa pensi tu, quando ti fai una sega? 
- A un sacco di cose, in realtà, di solito sono al tavolino, sotto le mie due lauree, a gambe allungate, come adesso, sono nello stesso posto in cui scrivo. 
- E poi?
- E poi ce l'ho in mano, rifletto sul posto che occupo nel mondo, posso star anche solo lì, senza altri spazi. Molto compresso nel mio mal di schiena, sto scomodo, preso da quello che cerco di mostrarti anche in questo momento, senza riuscirci.
- Ma da cosa?
- Non c'è risposta alla tua domanda, davvero non è facile, i rapporti sono imperfetti e ci circondiamo di discese e ci spalmiamo l'olio, per renderle più lisce. Ci penso bene mentre son lì, nella mano, mi viene tutto molto più filosofico della realtà. Penso al freddo, ai piedi, all'impazienza di andare, come pulirmi dopo, penso tipo a non usare la maglietta pulita.
- Io credo che dovremmo restare ancora un po' qui. La verità arriva da sola. Un altro amaro? 
- Si, ma potrei dire cose a cui non credi, oppure cose quasi vere che ti farebbero incazzare a morte, o infine cose molto vere che romperebbero tutto. Il rapporto che abbiamo messo in piedi, a fatica, non dovremmo litigare, per dei semplici pensieri.
Una pièce, insomma, parole annotate come i cimiteri di fazzolettini usati, un tempo, come campi da calcio da percorrere col fiato a zero.
Non ti farò mai più un accenno a Beatrice, anche se tu vorresti, o a quanto vada bene il mio lavoro, ma me lo sono ritagliato bene, il mio spazio di confidenza. Occupo il mio metro e settantadue con pensieri posti solo per sostituzione.
Potrei dirti anche che la vedo, su quel  divanaccio che avete in cucina, velluto sfatto e verde. La vedo accavallare le cosce come vidi fare a quella turista americana, al Palio di Siena nel 2006, che ci persi tutto il Palio, tra quelle due cosce. 
Posso dirti che Beatrice tira il libro sulle ginocchia, gratta le calze con la copertina, un buco nella trama nera, sotto il ginocchio destro. Le unghie rosse scivolano sotto le calze nere, come rettili neonati avviluppati dentro l'involucro dell'uovo. 
Come veste male lei, pare farlo apposta, tu stai preparando il filetto al pepe, appoggio una lente di microscopio sulla sua pelle, penso, due dita dentro allo squarcio nero per sentirla, indice e medio come nella crema calda e gialla di mia nonna, servita dopo le partitelle, al freddo della neve. Si riprendeva subito l'uso del naso, mani e piedi tutt'insieme. 
Biscotti tritati, Alchermes, che va giù in vena.
Una sensazione di risveglio e lei scende col sedere dal cuscino, spinge il peso contro di me, come una farfalla che voglia farla finita, mi romperebbe le dita, per quanto le stringe.
Tu cucini la cena, inconsapevole del quadro uterino che ti si consuma a fianco. E mentre chiudo il mio Olimpo segaiolo ben al sicuro, dentro la testa, penso che avertelo scritto sarebbe stato più facile. L'inchiostro è il mestruo del sistema-pulsante-penna.  Mi accorgo del tempo trascorso, son già indietro, per le tue domande.

- Pensavi a Beatrice?
- No, ma perché ti sembro feccia?
- No, siamo amici, gli unici due qua dentro, è che è un periodo così, un po' insicuro. 
- Lamentati, allora.
- No, diciamo un periodo di merda. I miei sono anziani, poi non lavoro, lo sai che sto in casa coi guanti.
- Permettimi di dirtelo: hai rotto il cazzo! Perché io, se sono qui, non è per esistere, sono qui solo per condividere, quindi per chiudere, concludere.
- Tu puoi farlo, guidi una Golf, io nulla. Sai che è una differenza che non si colma in una vita intera, tra una Golf e il nulla?
- Piantala, metti a monte queste cazzate.
- Non tra noi, so di potertelo dire, so di potermi fidare.
- E allora fallo! Chiudiamola qui e se ti racconto quella storia di Amsterdam, il parchino, e che penso solo alle troie su YouPorn mentre me lo meno, fai finta di accontentarti e credici, a due semplici pensieri.


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