domenica 20 aprile 2014

Cassetto n°125

- Io ricordo esattamente il giorno in cui son diventato matto
Davide è seduto sul letto, accucciato nel suo metro e novanta, ha mani tanto grandi da far sparire una Beck's da 66, lì dentro. Tutti mi son grati se ci passo dei minuti, con lui in camera, perchè Davide è una bestia, ed è sempre ubriaco marcio e si incazza moltissimo per niente e spacca tutto.
Appoggio la schiena al freddo del suo acquario, mentre con le gambe mi puntello a un listello di pavimento un pò sollevato. I pesci piacciono tanto agli squinternati, penso, e anche ai dentisti.
Io sono al terzo giorno di lavoro in questo posto, Davide è tutt'altro che stupido, dietro alla stazza e al suo odore forte di Creola, vedo un ragazzo gentile, esperto in filosofia, che ama i cani e il mare, delicato da spaventare.
- Ti va di ascoltare?
- Son qui, parti!
- Venivo dal servizio militare, periodo di merda, peggio del solito, e per riprendermi andai in Sicilia a trovare dei parenti di mia madre, la cosa più sana che presi laggiù fu del rosolio, mi facevo della grandi camminate sulla scogliera, un cazzo da fare tutto il giorno, mi chiamavano il drago, perchè appicciavo con un tiro un chilum da tre paglie. 
Pensavo al mare, pensavo a una ragazza che avevo lasciato a Brescia, pensavo che Bologna non mi volesse più indietro, stavo davvero male. 
Allora, ti dicevo che camminavo sul molo, con lo sguardo caduto sulle punte delle scarpe, e la vidi.
Vidi questa faccia,, a pelo d'acqua, una faccia di uomo, che sfiorava il pelo come un annegato, ma non era reale, lo sapevo di starla vedendo solo io.
- e cosa faceva?
- Camminavo dritto e quella faccia mi seguiva, scorreva, come se fosse un qualcosa che era impresso nel mio occhio, si voleva solo mostrare solo nel mio occhio infatti, intanto il tempo cambiava, del tutto, diventava una notte unica e io mi connettevo per sempre al tempo.
- Ma com'era fatta?
- Una faccia da teatro greco, hai presente le maschere, una che ride, una triste? A me pareva quella triste, ma poteva essere anche l'altra. Voleva che la guardassi negli occhi e li vidi e ci caddi dentro.
Misi la mano nell'acqua pre prenderla, ma non potevo toccarla, non mi bagnavo più e un grande caldo, come liquore, come cento fuochi, come mille ulcere deformi che mi laceravano dentro, e fu così, fuoco, fuoco e ancora fuoco dentro e così, senza motivo,mi trovai tra le mani questa, che è esattamente la stessa faccia che vidi.
Davide mi porge un ciondolo, in pietra nera e levigata a lucido, piccolo come un'unghia.
Non lo so che è una trinacria, a me pare solo un simbolo tribale o qualcosa del genere.
- Tieni è tua.
- No, ma dai dopo questo racconto, questa è una cosa troppo importante per te...
- Non importa
Davide mi ha già regalato delle cose, è un suo modo per entrare in contatto, suppongo, una felpa nella quale stavo sei volte e un profumo Sergio Tacchini, ormai alcol puro
è momento in cui amo profondamente quel che faccio, uno dei pochi, in una stanza stretta tra acquario, e poster pornografici, con un pastore tedesco sotto al letto e panni e calzini appesi alla finestra ad asciugare.
Un posto in fondo al mondo, che mi dice di scendere al piano di sotto, per non esagerare, la voce della pineta sussurra di restare,, aromatica, tra le grate della finestra.
- E la colpa, Davide, la colpa di tutto, la dai a qualcuno?
- Mi madre aveva suggellato la mia pazzia con un affetto carico di risentimento, con premure inutili e assenze ingiustificate. Ma non credo ci sia altro da aggiungere, tieni quel ciondolo, ti porterà fortuna Matteo.
- Grazie, lo terrò caro.
- Quand'è che hai paura di entrare nel buio? Quando non sei felice, quando hai paura della luce perchè il buio non è niente, è realtà ampliata.
Trovo interessante l'umiltà con cui lo dice, ma, sul ciondolo, si sbagliava.


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