venerdì 4 aprile 2014

Cassetto n°123

Emozione, emoglobina hanno una radice comune, non sarà un caso, le parole non lo sono mai.
La parola epidermide, viene dal greco, parola composta di ἐπί, epì, «sopra» e δέρμα, dèrma, materiale fragile eppure resistente, muta corporea o maschera. 
Si sfrega la guancia, la mattina, soffiando sul caffè per svegliarsi, guarda la sveglia: le 5:00- La pelle c'entra da sempre, con la sua vita, è già un mese che ha ripreso a lavorare, dopo il richiamo per quella brutta faccenda. Non ha dovuto prendere un avvocato, i genitori del bambino hanno capito, eran persone aperte, gentili, sono andati anche a prendere una pizza insieme, poi l'ospedale ha dovuto fare la sua parte e per lei previste dieci sedute da una specialista del comportamento, alla quale non ha mai detto una sola, minima cosa di sè.
Sono le 5:05 guarda il parco sotto casa, i merli che si litigano delle cose nell'erba, la nebbia crea un palcoscenico perfetto a questi piccoli attori, non è infelice, è appesantita, dentro si sta curando.
Ma da quell'appartamento, centro Torino, deve scendere, per trovare nutrimento, vita, dentro i canali del sangue, già prima li utilizzava. 
Per lei bucare è diventata una necessità, l'unico contatto che ha con le persone vere, con la loro pelle, ogni mattina, alla sala donazioni del suo policlinico.
L'ago, grosso come un dito, scivola sotto la pelle, liscio come velluto, poi scoppia il caldo e la plastica si macchia di rosso «nella pelle c'è un etica elastica, nelle procedure della sala donazioni, c'è il suo santuario, le ripetevano i suoi maestri, le vecchie infermiere.
Le vene sono alberi stesi al suolo, sono i canali per arrivare dove si deve andare, sentire il sussulto mentre si buca, è la cosa più viva che si possa conoscere. Prendersi cura della paura, del fastidio degli altri, per una cosa piccola, come lei.
In biblioteca, non ci credono legga davvero tanto: terzo libro in una settimana, afferra solo volumi di cui non ha sentito parlare e poi scappa, la spaventa tutta quella mole di parole infilate negli scaffali, come in castigo da sempre. La disorienta l'idea che quei libri dovranno sempre tornare nello stesso posto, come una maledizione.
La fatica è costante: è vivere e fare la spesa, per chi deve curarsi dentro, quotidianamente, come lei.
Luca le ha lasciato un biglietto, un mese prima - vado in Spagna, hai tutti i miei contatti, scusami, ma non ce la faccio, non ci riusciamo, non ci parliamo, non ci tocchiamo, non mi troverai in quelle vene..
Lei cerca più lavoro, chiede turni doppi, domeniche, salta i riposi, lavora in ospedale, in associazioni private, tutto, pur di indossare un qualche camice.
- Perché non parli mai, non capisci di essere un'infermiera perfetta? La caposala è una donna semplice, vive per i figli e questa  è la sua forza. Martina la invidia, quella vita semplice.
- Hai sbagliato, hai capito, hai espiato, tu alle persone vuoi troppo bene, per bucarle, ecco tutto!
Sa che non capirebbero, non è lì, per fare conoscenza, per trovare parole dolci e conforto, è lì per fare i prelievi, entrare in quelle persone liscia, senza lasciare segni, è la sola soddisfazione che ha. Come spiegarlo?
E Martina alza gli occhi, trema , ma sa che deve bucare, tutto avviene lì, in quell'istante, che non riesce mai a vivere senza star un po' male.
Un ragazzo giovane, vene grosse, spigolose, da sportivo, eppure trema, uno strato di goccioline fini come polline gli imperla la cute
Martina lo guarda, capisce quella paura e non ci gioca, riesce solo a sussurrare in modo solenne:
- Brucia, ma vede poi passa subito
E così altre dieci, venti volte, quella mattina, come un vampiro malato, che abbia perso l'uso dei canini.

Il braccio nero di quel bambino, gonfio, le sue urla, il pallore della caposala che la sposta di peso, che estrae la siringa. I suoi arti paralizzati, il male dentro di lei, gioisce e si gonfia come carta. 
- Incapace, vedi è proprio come dicevo!

Essere allontanata come un'intrusa, essere tolta dalla responsabilità, tuo padre era malato lo sappiamo, eri distratta, non lo ero signora, ero attenta, quel bambino si è mosso, non importa, non dovevi sbagliare-

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