mercoledì 4 giugno 2014

Cassetto n°129

Nessun senso di colpa per l'ultimo acquisto: davvero un gran orologio. 
Il sole di Singapore taglia obliquamente l'oblò del Boeing-747, facendo rilucere la cassa del Rolex Submariner in acciaio anodizzato da quarantamila euro. In quel momento sta sospeso a novemila metri sopra allo spesso banco di nuvole spumose, di quelle che, a esser bambini, verrebbe voglia di saltarci sopra a piedi uniti. 
Pensa a quell'orologio: certi oggetti possiedono un'aura propria, pensa, la forma della perfezione e dell'esattezza, più che progettati si direbbero fusi al pensiero di chi li ha creati, appositamente per alcuni. Alcuni poveri illusi, di essere un'élite immortale, solo perché possono indossare questo orologio, o guidare quella Maserati, alcuni che credono, in qualche modo, di essere migliori, speciali. Elevati.
La forma del quadrante ottagonale fa capolino e tira sotto il polsino, né stretto né lasso, il bordo della camicia fatta a mano, un bordo spesso, senza il minimo segno di usura, la cura della spessa cucitura e la forma perfetta dei bottoni in madreperla, la camicia dev'essere sempre nuova, lavata e stirata prima di essere indossata, meglio se azzurra o delle tonalità del grigio - crema, ovviamente sotto una cintura in coccodrillo, o in elastico nautico intrecciato, se si veste sportivo.
Si guarda il dorso della grande mano abbronzata, sente di essere in una giornata qualunque del suo lungo percorso, non c'è nulla di degno di nota, la mano, che stringe il bracciolo in pelle marrone, è la sua preferita, è forte, gli piacciono i reticoli di vene che gli solcano le mani, sopratutto la destra, che ha una vena più spessa, centrale, a forma di zeta.
Si era negato tutto, fino ai vent'anni, il gusto, in quel caso, era stato attendere, rimandare, rimandare il momento in cui smettere di non permettersi nulla, in un futuro in cui ogni desiderio sarebbe stato legittimo e accessibile e studiava come far suo quel mondo.
La ragazza coreana, per altro per niente male, alla sua destra, ha un caschetto di capelli corvini notevole e un odore altrettanto degno di nota, a furia di stare in giro per il mondo, ormai, lo attirano solo due cose delle persone: l'odore e i capelli. Non avesse avuto il primo meeting alle undici, l'avrebbe invitata per un caffè. Il suo destino è ritagliarsi tempo per la vita, spezzetti riquadrati e piegati, da mettere in tasca e poi chiamare tempo libero alle cene di azionisti e con gli amici nelle confessioni davanti ai grandi camini degli chalet invernali sotto Natale.
Chissà quando morirà il pilota? L'ho visto prima, saremo circa coetanei.
Un gioco interessante, indovinare chi sarebbe morto prima e dopo di lui, lo faceva da quando era bambino, dare un tempo alle cose, alle persone. L'hostess, sicuramente, dopo di lui, il ciccione assopito con la testa che continua a cadere nella la forfora del completo blu da grandi magazzini, sicuramente molto prima, forse domani stesso. La ragazza coreana è bellissima, con la pelle color avorio e le mani curate, un velo di smalto trasparente, non avrà più di ventidue anni, sicuramente, morirà dopo di lui.
Le margarine e i grassi da forno della Freshmeal United SRL, il suo gruppo, vanno alla grande sul mercato: richieste da multinazionali e grandi catene di ristorazione, ideali per i croissant e per tutte le paste in sfoglia da prima colazione. Le spese aziendali aumentano parallelamente ad enormi profitti, scorre l'I-pad: nuovi ordini dal medioriente, India, Pakistan, Emirati, quantitativi insperabili per soli sei mesi fa. 
Lui è anche terribilmente stanco, piega il collo all'indietro ed è come se l'aereo si fermasse al buio, fluttua, resta in quella posizione qualche secondo, testa reclinata, occhi chiusi, riesce a contrarre ritmicamente mandibola e polpacci, i calzini in filo di Scozia tirano, immagina la grossa vena sul polpaccio destro solcata dall'elastico del calzino in leggera lana scozzese da quarantadue euro. 
Dopo un po' gli pare di riuscire a sincronizzare il battito di cuore su quel ritmo, un getto d'aria calda dietro ai polpacci: Signori passeggeri, stiamo per atterrare... Non riesce ad amare queste scarpe in cuoio quanto le sue Nike Freerun, ci corre sui grandi lastroni della ramblas o ci taglia le pineta toscana, incastrandole nei quadrati degli intrecci delle radici dei pini.
Pensa che vorrebbe prendersi una settimana libera, per quella gara in bici sui Pirenei, il mese prossimo, poi pensa che i sui giorni da ciclista sono ormai alla spalle, adesso che può permettersi una dueruote Madfiber da dodicimila euro, non può più usarla. Sorride malinconico.
Riporta piano la testa in avanti, piccoli lampi di luce dentro le palpebre chiuse, respira a tra i denti ed ecco i neon del corridoio centrale, gli schermi davanti ad ogni posto proiettano un film con Hugh Grant, About a boy, dovrebbe essere.
Comincia il rituale della discesa, più lento e noioso del volo stesso, prova a dormire, ma non è stanco, o meglio, le gambe si muovono, paiono una cosa a sé stante, gli vengono in mente quei corpi inanimati che si muovono sotto il rituale voodoo, nei film dell'orrore. 
Quindi si arriva, si mettono in fila, appiccicosi e ordinati come datteri nel cellophane, hanno tutti fretta e si trattengono per non mostrarlo, l'educazione occidentale della lentezza.
La ragazza coreana, in piedi, conferma i suoi dubbi: bellissima e, con i tacchi, alta quasi un metro e ottanta, quanto lui.
Essere il maggior esperto mondiale di margarine e grassi per l'industri dolciaria gli aveva aperto le porte e le gambe di quasi tutte le donne avesse voluto, nonostante il matrimonio e il poco tempo libero.
Ora scende, l'odore degli aeroporti è sempre quello: gente con giubbini catarifrangenti, bus, tubi di scappamento, deodoranti e gomme al mentolo. Sembra strano appoggiare la suola alla terraferma, è come se la terra invitasse a risalire.
Ha un rituale, prende sempre un caffè, appena arrivato, che gli vada o meno, ne ha presi centinaia, migliaia, quel sapore orribile, gradevole, bollente, annacquato, è la prima fase dell'arrivo in ogni città mondiale mai vista e abitata, ormai gli basterebbe mimare i gesti, senza berlo, il sapore arriva dalle sinapsi impazzite, dritto verso i calici gustativi delle sue papille linguali, già proiettato verso il taxi.
Ad esempio questo caffè, dello stato autonomo di Singapore, non lo sente neppure, o meglio qualcosa sa di metallo, come quando si beve alla cannula di qualche fontana ferruggionosa nelle Alpi. Non è neanche pensarlo, è appena sentirlo, il muro gli scivola via dalla schiena, è come se slittasse da dritto, dentro i suoi stessi vestiti, si trova a sbattere sulle ginocchia che cedono graduali e lisce, come margarina sul pentolino, al terreno, figura liscia.
Un osservatore esterno avrebbe potuto solo confermare: cedere con eleganza, in tre fasi, composte.

Una fitta al petto, la scritta BVLGARI che sfuma e torna, sfuma e torna, il ritmo di prima, stessa cadenza, la ragazza coreana proiettata a passo di danza, verso il Gate 13, pare un pesciolino che scheggia nell'acquario, sembra avere grandi progetti per il weekend, lui voleva andare sui Pirenei, pensa, mentre cade a faccia in giù, del tutto, davanti a un gruppo di bambini francesi che lo guardano coi panini al formaggio in mano, col formaggio fuso che cola in fili oblunghi e orribili verso il pavimento in finto marmo a specchio lucido.
Pavimenti tanto lucidi da imbarazzare le signore perse in quest'aeroporto, da qualche parte del mondo, magari proprio davanti ai cessi.
Magari lì dove sta morendo adesso.

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