venerdì 31 ottobre 2014

Cassetto n°142

Ho sempre invidiato i modi spicci e violenti dei vecchi, in particolare nel trattare le situazioni scomode. 
Ricordo che avevo sette anni e stavo uscendo, quando vidi qualcosa di nero attraversare la stanza: un topo enorme, in casa.  Quella sera avvertì i miei, ma nessuno sapeva cosa fare, veleno non ce n'era, casa mia è un cumulo di scatole, mobili e zone inaccessibili, con fatalismo decidemmo di lasciare al caso l'incontro successivo, se non per una stentata trappolina a molla, con relativa crosta di formaggio, piazzata in garage.
Non passarono molti giorni che, sempre uscendo, sentì qualcosa muovere in garage, e lo trovai lì, in mezzo alla stanza. Stava in piedi sulle zampe posteriori, per nulla intimorito da me, mi fissava, quasi che mi chiedesse il motivo della mia presenza in quel luogo. Il sorcio mi stava a debita distanza, eppure continuava a strofinarsi le zampette, ad accarezzarsi, tutto preso dalla sua pulizia, nel bel mezzo della digestione di qualche lauto pasto sottratto con l'inganno.
Pur provando ribrezzo scattai verso la bestia, che, trovandosi bloccata nella fuga, riuscì solo ad arrampicarsi sulla colonna della la carrucola coi pesi per sollevare la saracinesca e vi si infilò dentro, con un tonfo. Plof!
Il topo si trovava ora nella colonna e lo sentivo là dentro, zampettare disperato con le unghiette nella lamiera. Era una situazione strana, si era intrappolato da solo, ma come eliminarlo? Come ristabilire l'ordine, senza lasciarlo morire e decomporre là dentro? Oltretutto avremmo usato la saracinesca, al più tardi, la sera stessa.
Passava allora nonno Attilio, di ritorno dal quotidiano giro in bici, lo chiamai e venne subito a vedere dove si era infilato il topo. Rimase pochi secondi a scrutare la colonna, ben attento a capire dove si trovasse il roditore, poco dopo disse ritorno!
Andò a casa sua, che dista pochi metri dalla mia e tornò con un paio di pinze. Poi mi chiese una scala e la piazzò proprio davanti a dove poco prima era salito il ratto. Mi guardò con serietà, allora al tre tu apri la saracinesca, ok?
io annui.
Tre! Io alzai la saracinesca con un fischio e immediatamente mio nonno stringeva il muso del topo con le pinze, lo guardò per un istante e senza accennare nulla ruotò le tenaglie fino a quasi staccare la testa del poveretto, ormai ridotta a un inutile involucro senza consistenza.
Rimasi a bocca aperta sia per la crudeltà che per la velocità dell'operazione. Chi ha visto un topo muoversi sa di cosa parlo.
Mio nonno ne uscì pulito,  il topo ne uscì morto.
Capimmo dopo che, lo scatto felino del nonno, era stato favorito dal fatto che la coda del topo era rimasta incastrata tra cavo e carrucola, ma questo non tolse la forza evocativa della scena in sé, né, al nonno, il merito della perfetta riuscita dell'operazione.
E questo è più o meno tutto quello che ho da dire sulla faccenda del topo.



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