domenica 30 novembre 2014

Cassetto n°147

è la terza volta che provo a mangiare la pizza del pompiere, non mi sono mai spinto tanto in là. 
Lo scenario è questo: pizzeria Rotterdam, Godo di Romagna, il mio tavolo al centro, intorno gruppetto di parenti e amici, davanti a me la sola e unica pizza del Pompiere, già a metà. 
La sfida della pizza del Pompiere è un pretesto per accumulare tutto ciò di più piccante il mercato possa offrire e metterlo su un pizza. Il centro è un pezzo di peperoncino Trinidad Scorpion, il più piccante al mondo, da mangiare a morsi.
No acqua, no pane, coadiuvanti o distrattori vari, la pizza è da mangiare tutta così, entro un'ora.
Se riesco a finirla, il mio nome verrà scritto per sempre sul muro delle star, dietro all'acquario tropicale, con quello del prof di ginnastica Tacchini e Ottavio, l'imbianchino. Gli unici due ad aver completato finora l'impresa.
Ho pianificato la strategia, inizio a piccoli morsi, cerco di tenere il trancio tra i denti, meno a contatto possibile con le mucose. Prima di entrare ho bevuto un bel bicchierone di olio di oliva, per creare un velo protettivo per gola e stomaco. 
Questa pizza non risulta immediatamente piccante, la sensazione sale lenta, dall'interno della bocca, tramite due canali invisibili fino al naso, per torturare la punta degli occhi, costretti a chiudersi, a lacrimare, come stretti da elastici invisibili. 
Riapro e uno spiraglio di luce mi taglia, vedo mia madre, è una madonna, ha le mani strette in grembo e mi osserva con la testa inclinata di lato, forse rimpiange di avermi messo al mondo. 
Poi perdo la vista del tutto. Mia madre è morta sei anni fa, tra l'altro.
Mi concentro su sapori neutri, penso a un'enorme ciotola di vellutata di ceci e carote, ci sguazzo dentro, ci nuoto. Un pezzo di pizza vuole salirmi nel naso, un frammento incandescente, vedo la faccia di Remo, il proprietario: 
- Ué fatina, ti volevo dire che il tempo finize tra un quarto d'ora e c'hai ancora mezza pissa
Mugugno che ho capito e comincio a considerare l'idea di prendere un'altra fetta
Prendo in mano la fetta e penso ai miei predecessori, perché l'avranno fatto? Cosa li avrà spinti a mangiare tutta la pizza del Pompiere? Un senso d'inferiorità, una sfida con se stessi? La noia della provincia, la moglie? Dev'esser stata la moglie
Io so che tra me e quella scritta sul muro ci sono solo tre fette e un tratto di stomaco. Prendo le tre fette e le stringo nel pungo, faccio una palla, chiuso all'interno, l'insano condimento, scotterà meno, sarà una lotta tra lui e i miei succhi gastrici, dopo. Ma prima la vittoria.
Solo un breve tratto di stomaco, caccio la palla in bocca, quello che esce dalla palla brucia sulle dita, le pellicine. Silenzio. Sento mormorare "è pazzo" squittisce la ragazza del bar.
Una goccia di olio cola sulla lingua, potrei definirla solo, ruvida. Non certo calda o bollente, ma ruvida.
Ingoio il bolo, il corpo cerca di spingere quel fastidio fuori, io lo contrasto
Calmo le contrazioni addominali, mentre parte un applauso dalla sala, prima tiepido, poi sale fragoroso, e l'applauso abbraccia anche quelli dei tavoli intorno e sento rumore di sedie e tappi di bottiglia e pacche sulle spalle, bambini ridono. E Remo, il proprietario, ammirato sbotta: questa volta l'avevo caricata davvero, mo brava, fatina!

E io, che ancora non vedo, a tentoni faccio due passi verso la porta di ingresso, tocco la maniglia e mi sento felice, la palla è ancora lì, sento che inizia ad aprirsi, ed è questo che penso, che sono proprio felice, prima di cadere di faccia, sui gradini del ristorante

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