giovedì 1 ottobre 2015

Cassetto n°159

Mio nonno parlava dell'amore e mi diceva che quando siamo innamorati abbiamo quella roba dentro che abbiamo voglia di stare assieme a quell'altra persona anche tre volte al giorno e appena riprendiamo la macchina ritorneremmo già subito indietro e ci staremmo insieme ancora altre tre volte.
Io non capivo perché dicesse stare insieme, che si sta insieme spesso a tanta gente, io a sei anni già dicevo scopare e lui non lo sapeva, ma credo fosse più bello come lo diceva lui.
Mi diceva che anche se la conosciamo poco, l'innamorata, abbiamo voglia sempre di dormirci, abbracciarla, darle dei baci e fare delle sciocchezze, tipo lui caricò mia nonna nel camion per portarla sei giorni in Normandia e prese anche una bella multa per ritardo della consegna, ma mi disse che non gliene fregava niente. Mi disse.

Poi mi diceva che la differenza tra l'amore vero e l'innamoramento, è che se la storia è una cosa così, di poco conto, l'altra ci sembra sempre una persona nuova e siamo noi a metterle dentro le cose belle, i nostri desideri, che però rimangono sempre nostri e allora quando iniziamo a conoscerla un pochino davvero, ci sembra diversa, estranea e inizia una cosa brutta, che chiamava il disinnamoramento. 
Invece se l'altra è quella giusta, mi diceva, l'innamoramento è una scoperta quotidiana, le troviamo dentro, ogni volta, qualcosa che sembra sia stato lì da sempre, e ci sarà sempre, per cui quella persona, pur non sapendo bene chi è, ci accorgiamo che è davvero quello che aspettavamo.
L'amore, dopo l'innamoramento, non c'entra più niente con i desideri, l'amore c'entra col non volere niente per sé, col volere il bene dell'altro e c'entra anche con l'abitudine. 
L'altra persona, a volte, non ci si accorge di amarla: è come l'attaccapanni, tu non ci pensi continuamente all'attaccapanni, ma se un giorno appendi il giubbotto e cade, perché l'attaccapanni è sparito, e tu stavi andando a pisciare, come tutti i giorni, allora torni indietro dal corridoio e ti dici, mentre tiri su il giubbotto dov'è l'attaccapanni?
Ci riprovi pure ad appenderlo, ma ricade e ci stai male perché c'era nel tuo corpo tutta un'abitudine all'attaccapanni, e adesso che manca non sai  più che fare, se andare comunque a pisciare o star lì col giubbotto in mano, ed è davvero un bel casino, mi diceva, adesso al suo posto nel tuo corpo c'è un buco.

Mio nonno mi faceva l'esempio di un suo amico sposato, il Gino, che aveva scopato due tre volte con la Betty, una turista tedesca che alloggiava nell'albergo di sua zia. Mio nonno mi diceva sempre che il Gino, che era un gran nuotatore, una mattina la Betty l'aveva vista in una brutta situazione in mare, lei stava andando sotto, in due metri d'acqua, ma non si era buttato, l'aveva fatta salvare dal bagnino, perché lui stava servendo i cappelletti al ragù a sua moglie e ai due figli, sotto la veranda dell'albergo e proprio non gli era venuto spontaneo di buttarsi in mare.
Non ne voleva proprio sapere, lui l'avrebbe lasciata affogare, una con la quale aveva scopato tre volte, perché in fondo, amava davvero sua moglie.
A me l'esempio pareva già drastico, ma si capiva bene il senso, che era quello che mio nonno voleva. 
Io, allora, il buttarsi in mare con l'amore non capivo bene, cosa c'entrasse, perché allora amavo solo la mamma e forse la nonna, ma con loro non riuscivo a fare tanti esperimenti mentali. 
L'amore lo vedevo ancora una cosa solo tra due che stavano insieme. Allora immaginavo di caricare mamma e nonna su un moscone e di buttarle al largo a rischiare di affogare, ma non sapevo chi avrei tirato fuori per prima, perché erano due esempi davvero sbagliati, non avevo mai fatto l'amore né con mia mamma né con mia nonna, anzi, erano cose che mi facevano venire i brividi solo a pensarci.
Nella mia mente il Gino rimase sempre uno un pò stronzo e paraculo, ma cominciai a farmi molti esempi mentali sull'amore, fino a capire, piano piano, perché il Gino fosse rimasto a servire i cappelletti.

Le mie braccia si ispessirono, coprendosi di peli grossi come cavi dell'alta tensione, attraversai quelle estati senza pensare troppo, mentre mio nonno dimagriva e l'orto, ogni anno, si copriva di salvia e grappoli di pomodori rossi.
Mio nonno se ne andò, una mattina di settembre, lasciando il cappello di paglia sulla sedia e gli attrezzi in ordine nel capanno e accadde anche a me di capire: quando l'amore manca, ti viene il buco al posto dell'abitudine, un pezzo di corpo va via e non ricresce.
Resta come un pavimento rigirato, come l'atrio di un nuovo cuore più grande, da riempire.


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