venerdì 10 febbraio 2012

Cassetto n°18



Il mare, incombente, ingombrante, consuma la riva con pazienza, è un covo di odori troppo forti, troppo diretti, organo femminile della natura.
Il tempo ha un equilibrio così fragile, basta un pò di vento a romperlo e io posso portarlo a spasso, questo vento, dipende da me, dal mio umore e dalla mia volontà. Ma guai a farlo sapere alle persone, tutti sono scappati, devo usare linguaggi incomprensibili per dirlo:
"Ashakatarammma!" ...questo è il richiamo del vento
La spiaggia è deserta, uomini lontani paiono morti tornati a cercare il mio dono e la Creola serve a questo, a non farmi schiacciare dal dono. Il dono della gestione del tempo: il  mio fardello.
Sto camminando nel mio giubbotto, vado in cerca di Salvatore, il fornitore. Salvatore sta in piedi e controlla il cane, a pochi passi, che azzanna un barattolo di Coca, un incrocio tra un cane da caccia e migliaia di intelligentissimi bastardini, si chiama Paco. Salvatore ha la barba grigia e occhi da topo di campagna, camicia in flanella, arrotolata sui gomiti, sotto, altri due strati di camicie, sempre più sporche. Mi ricorda un bohemièn, con occhialini alla Lennon, un poco pusher, nel complesso.

Accende una Winston ed estrae dalla busta Conad una Ceres, non lo vedo muoversi, con lui le cose avvengono e basta, fluido come un mercante di pietre.
-Vai nella black-list se non paghi, frega niente se sei il Marlon Brando di Pinarella!
-Il problema sono sempre i soldi, i soldi e mia madre, vecchia avara siciliana!
-Già, non me ne parlare...- Salvatore non ascolta, ha fretta di vendere e di tornare a quel camper.
-Terzo mattone a destra, sotto trovi la tua sbumba, quindici euro!
-Ne ho dodici, anch'io sono così felice di vederti!...
Li prende in fretta, due pezzi da cinque, moneta da due. Due sorsi e la Ceres sparisce, lanciata in un bidone a tre metri, gran mira, Salvatore.
- Ci vediamo da Armando, stasera, per un cicchetto?
-Vedo se riesco, vedo se mi lasciano uscire..
Sappiamo che non ci andrò, devo ad Armando qualcosa come 60 euro, tra birre e panini, siamo poveri cani soli, più soli dei randagi della discarica.
Non ascolto i convenevoli del fornitore, è teatrale, addolcito dall'età e dalla chiusura della vendita, mi interessa solo ritirarmi in pace, io: la sbumba e un cicchetto forte, lo saluto senza lungaggini.
Penso a mia madre, ma è un passaggio che riesco a gestire nella mia mente, la scaccio altrove, mentre prendo la stagnola, come fosse una gemma persa nella sabbia, e mi dirigo al Conad.
Al supermercato, pesco senza guardare, direttamente all'ultimo scaffale, ne estraggo di tutto: Tavernello, birre da 33, liquorini di sottomarca. Scelgo la bottiglietta ambrata, tappino in metallo rosso, sull'etichetta l'effige di un veliero, scosso nella tempesta, 2,99 euro l'investimento totale.
Già da quattro mesi il ricovero a "Villa Marzia" prosegue: depressione delirante in alcolismo, schizofrenia paranoide, le diagnosi si ammucchiano, lascio lavorare gli esperti, io sono per la farmacologia indipendente: due Seroquel da 300 con tre Tavor e posso sperare di affrontare la giornata, con l'aiuto di alcolici da supermercato, of course..sono subito alla cassa.
-Ciao Isabella, ti porto fuori una sera di queste? La cassiera più giovane, la mia preferita oggi esibisce capelli legati all'insù, un maglioncino lilla a collo alto, in lana, occhi truccati, poco, leggermente gonfi e stanchi.
-Dave...Dave, basta che mi prenoti, mi devi portare al Caminetto, o te ne sei scordato?
-Il tavolo è per giovedì sera, alle 21:00, mettiti questo maglioncino!
Me ne vado tramortito, diavolo! La porterei davvero al Caminetto, ad avere cento euro.
-Devo ammucchiare cento euro per il Caminetto, fossero anche ottanta, sessanta..
Lo dico forte, per ascoltarmi, ma in fondo non ci credo neppure io.
Di solito bevo la Creola, un liquorino usato in pasticceria, in assoluto l'acool a miglior mercato che abbia mai scovato, ne tengo una bottiglietta da 33cl. infilata all'interno del giubbotto, si scalda piano, sul petto, ne aspiro brevi sorsi mirati a sciogliere il freddo e a disperdere quel mercato di voci che mi bussano alla tempia, da diciott'anni, dai tempi del servizio militare.
Devo fermare il rumore del tempo, gestire il brusio, gestire la mia gastrite, il controllo è la mia ossessione, la mi necessità, la legge del controllo preme sulla mia vita, da sempre. 

Mi danno del folle tutti, prima o poi: gli amici, mia madre, i parenti, so che si sbagliano, quello che sento è reale, ho questo compito da svolgere, devo controllare il clima, le perturbazioni, senza di me, impazzirebbero, solo che nessuno lo sa, nessuno lo può capire finchè le cose non saran più chiare.
Arrivo alla clinica, nessuna perquisizione, accordo tacito tra me e il personale, saluto distrattamente l'operatore in turno. A decine ne son passati, tirocinanti, educatori, psicologi in erba, han tutti voglia di far del bene, tutti affacciati sull'acquario umano, ad osservare i pazienti: rari pesci tropicali, finora apparsi solo sui libri.
Quello di oggi, Marco, è un ragazzo sui 25, non è un moralista, viene per il suo assegno che incassa, a fatica, ogni 20 del mese, a modo suo sa rispettare gli spazi altrui. Ci capiamo.
Mi guarda schivo, dalla guardiola, scrive le consegne della giornata, un sorrisetto stampato sul volto: -Tutto bene Dave, altra giornata buona?
-Non mi lamento, non farlo tu! Ora salgo a riposare...stasera che c'è?

Salgo le scale, fino alla 12, appena apro mi accoglie Lara, il mio pastore tedesco, nessuna gioia nel vedermi sarà mai paragonabile alla sua, scondinzola veloce, ma ha lo sguardo triste, mi controlla, studia se son ubriaco. Le urlo:  -Lara! Patatona!
è allora che la vedo felice, balziamo sul letto, all'unisono, si appoggia pesante a me, le molle cigolano e premo il pulsante dello stereo, luce rossa: Billie Holiday si lamenta dolce per la stanza, le voci per ora tacciono, lei le copre tutte. Tutto è pronto, mi preparo a quella che si preannuncia una lunga, serena, serata di fine novembre.
Anche oggi la legge del controllo ha vinto, ho spinto le voci ben sotto, nel loro barattolo, condivido la vittoria con l'unica amica che mi rimane.
Ho le sigarette, ho Lara, ho venti matti, come me,  per parlare, litigare, giocare a carte... più tardi, tutta la notte se serve.
Il tempo, finalmente libero dai miei influssi, si scioglie, si sente rumore di pioggia, fuori, sui pini e sulle auto parcheggiate.

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