martedì 27 marzo 2012

Cassetto n°27


DAL DIARIO DEL FILOSOFO TEOFRASTO DI BRANDEBURGO
LA TEORIA DEL RITARDO COSMICO
…Sono sinceramente convinto che giorno dopo giorno la Verità si stia manifestando nella mia vita con ritmo sempre più frequente: sto uscendo, per così dire, dalla caverna platonica ed accedendo all’iperuranio.
Questa mattina mi son recato presto a lavoro, sulle sei e mezza, come ogni giovedì, perché il giovedì è il giorno dei fornitori. Indossai la mia divisa con tanto di cartellino di identificazione, mi infilai in testa il cappellino della ditta e rimasi lì, al freddo, ad aspettare l’arrivo del camion. Mi sedetti su uno scatolone di viti, pungendomi anche il sedere, ma dopo averci strofinato sopra un paio di volte le mie natiche, trovai una posizione comoda. Aspettai…aspettai…aspettai…guardai l’orologio e…aspettai…aspettai…mi grattai la barba, mi sistemai gli occhiali e…aspettai…aspettai…aspettai…feci una capatina in bagno per svuotare il pipistrello e…aspettai e…mi venne il dubbio che fosse mercoledì.
Mi sollevai dallo scatolone, corsi nel retro del magazzino, dove teniamo di solito i calendari con le donnine nude; sì, era giovedì, lo confermava la scritta in caratteri rossi sotto il seno di Pamela Anderson “GIOVEDI’ 11, FORNITORI” . Dunque il dubbio metodico aveva fallito ancora una volta nella prassi della vita quotidiana: se sul calendario c’è scritto “GIOVEDI’ 11, FORNITORI” non ha alcun senso pensare che sia mercoledì, o sabato, solo perché questo presunto fornitore non si presenta: Cartesio, hai fallito ancora!
Ritornai fuori, a sedermi sulla mia scatola di viti ed aspettai…aspettai…aspettai…guardai l’orologio e…aspettai….guardai di nuovo l’orologio e…e lo riguardai ancora e…arrivò finalmente il camion. Non era proprio un camion, sembrava più un camioncino, di quelli vecchio stile, con il rimorchio con la struttura in alluminio e il rivestimento in nylon; quel genere di mezzi che pensi possano trasportare solamente clandestini dall’Est-Europa.
Un omino tarchiato, abbastanza burbero, scese dal camioncino, con una Marlboro rossa mezza accesa in bocca, come a conferma di tutti gli stereotipi sui camionisti e, come se non bastasse, ruttò pure, grattandosi le chiappe, mentre imprecava tra sé e sé. Lo guardai con un’aria leggermente di rimprovero, non troppo marcata (non volevo mi spezzasse in due), e il suo unico commento fu: “Lo so, sono in ritardo, che t’importa? Ho beccato il passaggio a livello abbassato e anche il treno era in ritardo di mezz’ora”.
Quel suo commento mi illuminò: il camionista era in ritardo perché il treno era in ritardo, anche se il camionista era venuto appunto in camion e non in treno, dunque perché il treno era in ritardo? Questa domanda mi assillò tutto il giorno.
Finito che fu il mio turno, non tornai nemmeno a casa, ma mi recai alla stazione del treno, per cercare informazioni. Mi risposero che a quanto pare la suocera del capotreno aveva avuto un infarto e, nonostante la grande gioia che questo evento aveva generato nel capotreno, questi fu costretto da sua moglie ad occuparsi della sventurata; non essendo perciò immediatamente reperibile un capotreno, il treno è dovuto partire con mezz’ora di ritardo.
Questo mi fece intuire due cose: la prima è che ogni giorno, se si tiene conto di tutti i treni in ritardo, molte suocere di capotreni hanno un infarto. La seconda è che ogni ritardo è causato da un altro ritardo. Riflettei attentamente e mi accorsi come anche io, quel giorno, avessi ritardato di mezz’ora, non solo il mio pranzo, ma anche la mia pausa caffè, la mia capatina d’urgenza al bagno e il mio pisolino pomeridiano. La mia vita stessa vita era in ritardo di mezz’ora.
Approfondii più che potei l’argomento; per fare ciò fui costretto ad andare all’ospedale, ad incontrare la suocera del capotreno. Era nel reparto rianimazione e a quanto dicevano i medici le sue condizioni erano stabili. Lì, nella sala di attesa, c’era il capotreno che mi spiegò come le condizioni erano state aggravate dal fatto che l’ambulanza, nel soccorrere l’anziana, aveva ritardato di mezz’ora, poiché aveva trovato le sbarre del treno abbassate (il che non fece che aumentare la gioia del capotreno). Ma non era finita qui. Venni a sapere che l’infarto ha colpito l’anziana poiché questa non era riuscita a prendere il suo farmaco per la pressione: a quanto detto dal capotreno infatti (che parlava senza nascondere un certo sorriso), la farmacia aveva aperto in ritardo poiché il farmacista era dovuto andare all’aeroporto a prendere la figlia, tornata in ritardo con un altro volo dalla Nuova Zelanda.
Tutto a quel punto mi fu più chiaro: il mondo intero vive con un costante ritardo. Da ciò si può dedurre che ogni ritardo rimanda ad un altro ritardo che, a sua volta, rimanda ad un altro ritardo e così all’infinito: si può affermare che questo ritardo cosmico corrisponda, in termini di tempo terrestre, a mezz’ora circa, come dimostra l’episodio della suocera.
Ma se ogni ritardo è causato da un altro ritardo antecedente in una serie infinita, si giunge ad un paradosso: non può esistere un ritardo se il tempo è infinito ed indefinito, cioè privo di un inizio e di una fine, cioè se non esiste un Ritardo Originario, che ha dato il via alla serie infinita di ritardi.
A questo punto della speculazione mi sono posto una domanda: chi ha creato lo spazio ed il tempo? Dio, certo. E se fosse stato Dio la causa del Ritardo Cosmico? Mi misi ad indagare.
A quanto pare Dio creò il mondo in sei giorni e il settimo si riposò. “E se si fosse riposato troppo a lungo?” questa domanda mi fornì l’intuizione necessaria per uscire dal paradosso: Dio creò il mondo con mezz’ora di ritardo. Come accadde? Ecco la versione riaggiornata della Genesi, alla luce della teoria del Ritardo Cosmico:
“ Finito che ebbe di creare l’universo, con tutte le sue creature, compresa quella scimmia depilata chiamata Uomo (Adamo per gli amici), Dio si concedette una meritata giornata di riposo. Partito la mattina verso il mare dell’Heden, con tanto di ombrellone e frigobar, il Signore si accomodò su di una spiaggia, a contemplare quanto aveva a fatto.
Anche Adamo era andato in gita quel giorno presso le colline del Paradiso; tuttavia, a differenza di Dio, non aveva la macchina e dunque era stato costretto a prendere il treno, convinto che, una volta tornato in stazione, il Signore sarebbe tornato a prenderlo per riportarlo a casa.
Ma quel giorno il Signore se ne dimenticò completamente, perché, stanco per tutto il lavoro che aveva fatto, si era addormentato sulla spiaggia. Il povero Adamo, tornato che era, rimase alla stazione ad aspettarlo ed aspettò ed aspettò, senza che nessuno arrivasse. Passate un paio d’ore, l’appetito si fece sentire, e Adamo prese a camminare su e giù in cerca di qualcosa da mangiare. Notò che lì vicino alla stazione del treno c’era un piccolo melo, sul quale crescevano della
stupende mele scarlatte, grandi, grosse, succose. Ciò che gli faceva strano era quel serpente che frusciava tra i rami di quell’albero. Quel serpente ricordava qualcosa ad Adamo, qualcosa di negativo, che non doveva fare; ma cos’è che non doveva fare? Non ricordava. Lo stomaco però cominciava a dare segni di cedimento e tutto quello sfarfallio interiore lo metteva a disagio. Che non dovesse mangiarle quelle mele? Dio gli aveva detto qualcosa a riguardo, eppure il suo stomaco brontolava…chi se ne sarebbe accorto che mancava una mela d’albero e che fosse stato lui a mangiarla? Nessuno probabilmente.
In quello stesso istante, Dio si ricordò che doveva andare a prendere Adamo e perciò, prese su le sue cose, si mise subito in moto per raggiungerlo. Corse velocemente, schizzava via sulla strada, preoccupato per le sorti della sua creatura preferita: non si sa mai cosa possano fare questi uomini - pensava sempre - uno li lascia un po’ da soli, a fare ciò che vogliono, e in meno di mezz’ora sono già a rischio di estinzione.
Arrivato alla stazione, la scena che gli si presentò fu orribile: Adamo, il suo preferito, era lì sotto l’Albero della Conoscenza a mangiare i suoi frutti e a parlare di “Uomini e Donne” in compagnia del Serpente. Questa visione mandò il Signore su tutte le furie: scacciò a pedate il Serpente dal Paradiso, scaraventò in aria tutte le mele e, preso Adamo per un orecchio gli disse: “Figliolo sciagurato, quante volte ti ho detto di non mangiare quei Frutti? Non ti si può lasciare solo un secondo che trasgredisci quell’unica, semplice, piccola regola che ti ho dato?!”
Adamo guardò negli occhi Dio e prese a piangere come un bambino: è vero, Dio era in ritardo, ma lui non doveva venire meno alla sua legge. Disse tra le lacrime: “Perdono Signore, perdono! Ho dato ascolto allo stomaco prima che a Te, Ti prego, non punirmi!”.
Dio si commosse a sentire le scuse di Adamo, ma era pur sempre un padre e un padre deve punire un figlio quando sbaglia: “Adamo, figliolo, poiché hai mancato al mio comandamento sono costretto a mandarti fuori dall’Heden e perciò dovrai procurarti il cibo con il sudore della tua fronte! Sono arrabbiato con te e tu lo sai, quindi non mi parlare per un po’, finché non sarò sbollito un po’. Ora va, prendi il treno, ed esci da qui!”
Detto questo Dio diede un biglietto di sola andata ad Adamo, direzione Terra. Sconsolato Adamo, prese su la sua borsa da viaggio, ci mise quel poco che aveva, salutò tutti e partì.
Il Serpente però, non stanco di tutti i danni che aveva provocato, decise di cambiare l’orario di arrivo e di partenza di tutte le linee, e fu così che il treno di Adamo giunse sulla Terra con mezz’ora di ritardo.”
Dunque è chiaro a tutti no? Questo, il Peccato Originale, è alla base del Ritardo Cosmico: quindi la prossima volta, quando vostra moglie vi dirà che siete in ritardo, non rispondete: “c’era traffico, ho beccato il passaggio livello” ma rispondete: “cara, non sono io ad essere in ritardo, è Dio che non è passato a prendere Adamo”.

Nicolò V.

3 commenti:

  1. L'introduzione è molto forte, mi piace.

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  2. Curiosità, come può il protagonista sapere che il camionista sta imprecando tra se e se?

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  3. Finale davvero simpatico! Racconto very nice!!

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