domenica 22 aprile 2012

Cassetto n°33



Ci siamo io e il Francese, più una mezza dozzina di artistoidi conosciuti chissà come, che bevono vinaccio della casa a piccoli sorsi e parlano a bassa voce. Il locale è la classica imitazione del bistrot parigino, con pareti scure, luce soffusa e musica jazz. Questi personaggi ci accolgono quasi tutti in maniera fredda, soprattutto due di loro che smanettano sui rispettivi IPhone e non ci degnano di uno sguardo.
Per mischiarci, io mi siedo fra una ragazza dai capelli corti, che sembra piuttosto socievole e uno di quelli col telefono che continuano a non cagarci. 
Il Francese, invece, si siede esattamente dalla parte opposta vicino a una bionda piuttosto figa e di fronte a quello che potrebbe essere benissimo il suo ragazzo.
Portano entrambi un maglione nero a collo alto, tutti e due magrissimi e tremendamente annoiati. Io e il Francese non riusciamo a comunicare, a causa delle posizioni in cui ci siamo seduti. Lo riesco malapena a vedere perché ho due persone davanti e parlare con lui senza sbraitare è impossibile. Meglio così.
Il Francese stasera mi sta sui coglioni.
Stasera prima di venire qui la discussione era sul duemiladodici, ovvero, la fine del mondo, i calendari Maya e tutte quelle menate lì.
Intendiamoci, lui non crede che finisca il mondo, ma pensa comunque ad un punto di svolta, di cambiamento e di purificazione di tutto il pianeta. Questo è il suo punto di vista. A differenza sua, io, credo che sia tutta una marea di cazzate. Non si è neanche sicuri che i Maya abbiano espresso il loro parere sul duemiladodici e comunque, non è detto che sia attendibile.
Il Francese però, forte delle sue convinzioni, mi spiegava che anche per lui era arrivato il momento di purificarsi e di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Poi, invitandomi a fare lo stesso, ha iniziato a farmi la morale. Che dovevo chiedere perdono alle persone che ho offeso e che, a parer suo, ho tradito nella mia vita, per trovare anch’io la via della catarsi.
Io, che ne avevo per il cazzo di tutti questi discorsi, gli ho detto: “Io non chiedo scusa proprio a nessuno! Le persone che ho offeso probabilmente se la sono cercata. In più non vedo perché te ne dovrebbe fregare qualcosa di come mi comporto io con gli altri.”. A questo punto il Francese aveva iniziato a dire che lo diceva per il mio bene, che siccome l’aveva fatto lui, avrebbe avuto piacere che lo facessi anch’io, che sono suo amico e altre stupidaggini del genere. Io già non l’ascoltavo più e avevo smesso di parlare già da qualche chilometro prima di arrivare al locale.
Ricapitolando, ci siamo io, il Francese, i due ragazzi IPhone-dipendenti, la coppietta col maglione a collo alto, la tizia con i capelli corti vicino a me e un altro personaggio che all’inizio quasi non noto. La più carica del gruppo è sicuramente la ragazza dai capelli corti che subito inizia a presentarmi tutti. Nomi che naturalmente scordo subito. L’unico a stringermi la mano è il tipo che all’inizio non avevo visto. È straniero, ha un nome impronunciabile, ma lo chiamano tutti Pit. Dev’essere greco o albanese, fatica a parlare l’italiano e capisce di conseguenza molto poco, perciò è visibilmente a disagio e si annoia pure lui. L’altro nome che ricordo, è Laura, la ragazza dai capelli corti, l’unica con cui si può avere un dialogo e l’unica che sembra divertirsi un mondo. Mentre mi chiedo cosa ci faccia una ragazza così solare e sorridente insieme ad un gruppo di nichilisti annoiati, lei mi riempie di domande.
“Quindi cosa fai nella vita?”
“Faccio il magazziniere”
“Ah sì e dove?”
“è il magazzino di un negozio di libri, in periferia”
“Wow, chissà quanti libri leggi...”
“Veramente no, non ho molto tempo quando sono lì”
Penso ai libri in magazzino, per lo più best seller da leggere sotto l’ombrellone,  non roba di qualità. Il resto sono corsi di yoga, libri di cucina, pagine da colorare per bimbi. No, decisamente niente che vorrei leggere.
Il Francese si distacca dalla conversazione che stava tenendo con la coppia dal maglione a collo alto: “Laura, te l’ha detto che è un musicista”. Il Francese è proprio un coglione, non sono un musicista, almeno non come penserà lei, ora mi tocca rispondere a un’altra marea di domande. Infatti lei con stupore esagerato mi guarda sbattendo le palpebre dei suoi occhioni e dice:
Davvero? E cosa suoni?”
“Senti, non è che sono proprio un musicista, mi piace la musica elettronica, faccio delle cose col computer poi le carico in internet. Non è che faccio musica, è più un hobby”
“Sai che ho un amico bravissimo che suona la chitarra in un gruppo. Ora non ricordo come si chiama. Vale, come si chiama il gruppo di Matteo?” e si rivolge alla fichetta bionda che quasi non le vorrebbe rispondere. Probabilmente non si sopportano, anche se Laura vuole far credere il contrario. A me invece non interessa nè questo chitarrista di nome Matteo, nè del suo maledettissimo gruppo, ma in fondo trovo carina questa Laura. È decisamente troppo esuberante, ma fisicamente è il mio tipo. Mora, occhi grandi chiari, tette e culo un po’ fuori misura. Decisamente il mio tipo. Tento di interessarmi, ma è dura. Laura lavora in una cooperativa sociale, lavora con gli immigrati come Pit, che scopro non essere ne albanese, ne tanto meno greco, ma ucraino. Scopro anche che è stata lei a trascinarlo a questa serata per integrarlo, visto che è qui da poco.
Mi alzo per andare in bagno, ma anche per staccare un secondo. Sento le gambe molli, perché con tutto quel parlare ho dovuto buttar giù diversi bicchieri di vino e ora sono un po’ sbronzo. Il bagno è al piano superiore, le scale mi sembrano veramente troppo ripide, perciò decido di espletare i miei bisogni contro il muro, fuori dal locale, in un posticino appartato. Esco nel freddo fumoso della sera e mi metto tra i bidoni della spazzatura. Con il getto della pipì, contro la parete esterna del locale, tento di scrivere “ARMAGEDDON”, ma non è così facile direzionare il flusso. Riesco a fare le prime due lettere poi mi viene tutto un po’ storto, non si capisce nemmeno se sono lettere o no. Fanculo. Rimango qualche minuto lì con l’uccello in mano. 
Perché sono venuto qui? Non sono proprio dell’umore per socializzare.
Rientrando scorgo poco lontano dall’entrata del locale, Laura e Pit che limonano selvaggiamente. Lui le tocca quelle tettone, lei cerca di riportargli le mani sui fianchi. Un classico della banalità che quasi vomito.
Ci ha pensato lei ad integrarlo e Pit ha riacquistato miracolosamente sicurezza in se stesso. Laura è proprio brava nel suo lavoro, vorrei complimentarmi, ma ora come ora mi sembra un po’ impegnata.
Torno al tavolo. Il Francese è riuscito a dirottare la conversazione sulla fine del mondo anche con la coppia e questi due se la ridono sotto i baffi, non gli sembrava vero di poter trovare un argomento, su cui poter fare un po’ di sano cinismo. Dopo qualche minuto Laura e Pit rientrano, ma solo per salutare tutti, poi fuggono dal locale. Sono tutti e due già sulla rampa di lancio e non vedono l’ora di scopare. Sono a tanto così da incazzarmi. Non sopporto questa gente, i loro discorsi, il loro modo di fare, perfino il loro odore. Forse è il vino che parla ma ad un certo punto mi vien da dire: “Chi cazzo siamo?! Perché siamo qui?”. 
Una domanda rivolta a nessuno che solitamente cadrebbe nel vuoto come tutte le domande esistenziali, che non hanno una risposta giusta. Non so se per il tono con cui ho detto queste parole, o perché, la musica in diffusione nel locale, si è fermata proprio in quel momento, ma ho attirato su di me tutta l’attenzione. Facce sbigottite più dal mio improvviso risveglio che dal senso della domanda. L’unico a rispondermi è Carlo, il tizio che fino ad allora si era fatto bellamente i fatti suoi sul suo smartphone, insieme a quell’altro, che invece ora, mi fissa insieme a tutti gli altri, non rinunciando però a tormentare il touch screen del telefono.
“Carissimo, inutile chiedersi chi siamo e perché siamo qui. Io, te, le altre persone sedute al tavolo, perfino gli oggetti, l’aria, gli odori intorno a noi, fanno parte della stessa fottuta cosa. Pur essendo diversi è tutto uguale e tutto ha la stessa importanza. Non tutti la pensiamo allo stesso modo, ma io penso, che tutti noi cerchiamo qualcosa che in realtà abbiamo già”.
Le parole di Carlo che attraversano tutto il tavolo ci tengono inchiodati alla sedia. Poi, rivolgendosi al Francese e agli altri due dice: “Forse la fine del mondo avverrà quando veramente non si riconoscerà la differenza tra Laura, Pit, il letto dove sicuramente stanno scopando e il cielo notturno. Oppure l’esatto contrario. Il mondo sarà come noi: degli estranei ad un tavolo. Non ci sarà un singolo frammento che si congiungerà ad un altro, ma in ogni caso sarà tutto perfetto” poi tornando a scrutare lo schermo dell’IPhone “oh! Tre notifiche su facebook”.
Saluto tutti, mi alzo e vado via. Sono venuto in macchina con il Francese, ma fa lo stesso, vado a piedi, ho voglia di camminare.
Il mio orologio fa mezzanotte e quindi oggi è il 21 dicembre 2012. Penso quindi che l’apocalisse esista, ma sia un fatto individuale. Ognuno avrà la sua.  




Max Penombra

5 commenti:

  1. Con il getto della pipì, contro la parete esterna del locale, tento di scrivere “ARMAGEDDON”...
    fantastico, un momento di iperbolica grottesca genialità.

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  2. in generale...uno dei migliori cassetti pubblicati finora.
    Bravo Max!

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  3. Sono d'accordo, mi piace particolarmente l'epilogo, le conclusioni di Carlo, come tutto alla fine porta alla riduzione dell'ideale.

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