giovedì 3 maggio 2012

Cassetto n°36


5:45, non si dorme, il tarlo lavora, gli ruba il fiato, Carlo studia come tornare indietro, per trovarsi al 12 giugno di un anno prima. Sulle ginocchia un volume, intrappolato tra due mondi.
Carlo chiama il figlio, Alessio, vorrebbe imporgli di tornare un'ora prima, anche se è presto, è categorico. 
O motore chiuso un mese, un mese cazzo!
Poi torna sul luogo dell'incidente, troppo vicino a casa, troppe volte al giorno. 
Studia gli elementi banali dell'asfalto, sposta sassolini, il vento, lo scenario, Alessio questa volta non cadrà dallo scooter, nessuna frattura al collo, al massimo una sbandata, un fiuu, un pelo al marciapiede, al muretto. 
E via, a cena, come nulla fosse mai accaduto.
Lo sforzo di Carlo è immane, l'esplorazione del tempo richiede impegno, correnti remano contro, i racconti perdono particolari e, se si va, si deve abbandonare tutto, nessun ritorno. 
Poi, non sa come, Carlo, è al bar, dopo il lavoro, un prosecco...due prosecchi, ciotole semivuote di salatini, mani sporche d'intonaco e occhi stanchi. Soliti clienti, solito barista, ma si sente diverso, non focalizza...
secondi...e torna alla strada, ha viaggiato da qualche parte, si accorge di essere stato nel 12 giugno di un anno prima, anche se per pochi istanti, l'atmosfera era reale, odore di caffè, e sulla sua mano, oggi, è rimasta una gocciolina di bianco, e lui non lavora più da mesi...
Carlo continua a pensarci su, mangia poco, abbandona alcol e sigarette, crea file su file di particolari: buchi nei maglioni, pagine strappate, scontrini, la riga sullo sportello, piede nel fango del fiume, fazzoletti sporchi di sangue di suo padre.  Un gran casino.
Ora è a Berlino...rumore di metro, gente in fila, plastica bruciata e smog, sta per piovere. 
Il dolore come binario buono. 
Il dolore diventa l'onda del suo viaggio, può fidarsi solo di quel flusso, sa che il dolore non ha parole, non promette.
Carlo viene svegliato dal rumore delle pentole, un caldo mostruoso, in mano una scatola di fiammiferi, sta fumando nel retro dell'osteria "Ai Tigli", seduto su una cassetta in plastica. Odore di fritto e sapone per piatti, il cielo è sereno, tutte stelle.
Oltre la rete un ragazzo vomita, la testa buttata fuori dal finestrino. Un pupazzo, come Alessio. Carlo, però, sorride, ha 16 anni, non lo pagano mai puntalmente, mai abbastanza, è un lavapiatti, è felice.
Torna al buio di casa, solo, con la pendola, col divano.
E' la realtà, a sembrare irreale, chi ha sistemato quella casa? Perchè tutto appare spostato, sostituito? Esce, va al bar.
Ma quando apre la porta di casa, è giorno, una vasta area incolta, sole ovunque, grande spazio, tra il fiume e la ferrovia...il posto dove Alessio è morto, ancora. 
Non sa perchè, si guarda le mani, mani lisce, mani da bambino, gli viene da piangere e da ridere. Un bambino, dentro un uomo, si chiede perchè non aver scelto prima, di stare in quel tempo, abitare tempi diversi.
Quando un uomo si ferma a pensare al tempo, vede scorrere nuvole oltre a lui, un vento che scavalca. Allora c'è da rimettersi in piedi e riacciuffarlo, non è accettazione, è un lavoro che avviene.                          
Non si riempie lo spazio,
si
Cura.







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