domenica 12 gennaio 2014

Cassetto n°114

Ho un paio d'ore, passo al negozio. La nostra rivendita è ormai un punto di ritrovo, in un paesino del bellunese che offre poco nulla, basta e avanza. Accompagno sul retro Cristina, la commessa. 
È una cosa veloce, come altre volte. Lei si china senza togliersi la divisa, la prendo da dietro sugli scatoloni di pasta. Restiamo appoggiati un minuto, poi ci ricomponiamo.
Torniamo davanti, al banco e facciamo ancora due chiacchiere. Sua madre sta peggio, le prometto un prestito, mi guarda come se fossi dio. Ma dio qui non c'entra, ho solo da offrire un solido conto in banca. Ho ancora dei giri da fare, poi calcetto con gli amici.
A casa
Scendo nel laboratorio, ogni volta questa discesa mi procura un piacere immenso, è un po' come calarsi in un'altra dimensione di sottosuolo. Un'atmosfera rarefatta di luci al neon e colori tenui, odori tanto saturi da annullarsi tra loro e confondersi in un'unica qualità protratta di luce suono colore e odore.
Perchè la porta del laboratorio è spalancata?
Entro nella stanza di lavorazione, la temperatura è troppo alta, gli scaffali crollati uno sull'altro, le forme giacciono in pozze di latte e siero rappreso, inutilizzabili, tutto da buttare. Calcolo mentalmente l'ammontare del danno che è alto, mentre un altro scompartimento della mia mente già anticipa la domanda: mia sorella dov'è, che succede?
- Carolinaaa!
Non risponde, l'ufficio è in ordine, lì non è successo nulla, fatico ad oltrepassare le cisterne cadute, ancora scaffali e sedie buttate a terra.
Ecco mia sorella, è nella stanza dell'inscatolamento, completamente fradicia, pare immersa nel latte, ha i polsi legati con fascette in plastica dietro la schiena e ansima, ha uno straccio appallottolato in bocca, gli occhi tumefatti e appena mi vede sviene, esausta. 
I polsi sono scorticati e sanguinanti nel vano tentativo di liberarsi.
Le libero la bocca, inghiotte grandi quantità d'aria, singhiozza, vomita, le tocco il collo poi l'orrore: perde sangue in mezzo alle gambe, tra le impronte e le forme schiacciate al suolo ce n'è un'intera pozzanghera scura. Sangue nero denso, le alzo la gonna. Per metà le hanno infilato tra le gambe una caciotta del diametro di un melone. Non so che fare, vedo un profonda lacerazione e decido di non toccare nulla. L'hanno presa a calci, accanendosi su di lei con morsi e sigarette, la sollevo dal suolo per correre all'auto. Intanto perde sangue e forse la vita.

Da sempre riesco a tenere una buona lucidità nelle situazioni peggiori, più l'emergenza è acuta, meglio riesco a pianificare come uscirne. Nonostante la mia mente chieda pietà mi metto alla guida, siamo a meno di dieci minuti dal pronto soccorso.
Mi chiedo cosa sia successo, quelle lettere minatorie, ed ecco forse che il traffico straniero si è dunque mosso. Avevo accumulato abbastanza soldi, dovevo smettere, lasciare la palla a Ross, su in Svizzera e fare solo i miei cazzo di formaggi, che c'era da viverne senza problemi.
Ricordo solo la salvezza del reparto, mia sorella nelle braccia degli infermieri, io che torno in auto e piango.
-Un passo indietro-
Per tutta la vita ogni giorno a girare formaggi.
La vita è la migliore o non sarei venuto fin qua, sono orgoglioso di quello che ho scelto, poi facciamo tanti soldi io e Carolina, pare quasi di stamparli: Austria Brennero, Germania, Svizzera, Est Europa vendiamo i formaggi persino a chi ha inventato come fare i formaggi.
Perché due ragazzi poco più che ventenni han scelto di ritirarsi in montagna? Per i formaggi, certo, per andare a prendere il latte alle cinque, per vivere attaccati a queste cisterne, nelle stalle con le galosce alte, per ritirare i soldi dai clienti e richiamare i fornitori che impazziscono, che non ci stanno più dietro, che facciamo lavorare e smadonnare tutta la notte, che tiriamo giù dal letto alle quattro di mattina.
Viviamo sui camioncini, viviamo dentro un grembiule, le mani sfatte per l'umidità e i guanti di gomma.
Poi le forme, vanno seguite, nove su dieci da controllare, perché da sole non andrebbero avanti, le forme vanno girate, esposte all'aria. Un lavoro di pazienza, certo.
Avevo un impiego in città, in ufficio, ma non ho fatto l'esame di Stato e son venuto qua, per riprendermi quello che mi han tolto.
Non mi abituo mai a vedere questi monti, una sorta di corona protettiva che incornicia la mia vita, il sole lo preferisco verso sera, quando taglia di ombre tutti i calanchi e le creste delle rocce, che prendono l'aspetto di rughe, immense creature pazienti, che aspettano che svolgiamo i nostri piccoli compiti umani. 
Le lettere arrivano sempre più spesso, sono pressioni, offerte di vendita dell'attività, poche righe scritte a mano che ci intimano di cessare la produzione.
Non me ne curo, per ora penso al presente immediato.
Ogni sera giro sul retro ed entro nel caseificio, mia sorella di spalle, gira tutti i formaggi, mi fa cenno di abbassare la temperatura. Se la cella è troppo calda qua succede un casino e va tutto a male. Lei è un po' arrabbiata, di non aver finito l'università, nessuno l'ha obbligata, una sua scelta, ma lo so che dentro ce l'ha un po' con tutti, soprattutto con me, con questo posto. Mi regala un sorriso svogliato, ed è sempre più bella, le treccia e le cuffie dell'Ipod le scendono delicate dietro l'orecchio, come un ciuffo di capelli prematuramente bianchi. Penso che parliamo sempre troppo poco e sempre per cellulare. Mi prometto di prendere più tempo per lei, presto dovremo delegare, l'azienda va troppo e allora sarà l'ora di fare i manager per davvero e di regalarci qualche viaggetto in giro per il mondo

Mi suona questo carillon in testa, sono in tempo con tutto. Fermo la Focus in una piazzola, stendo le gambe e accendo una Pall Mall.
Mia sorella che non si sta sposando, che sa che nel paesino tutti la vedono bene col figlio del padrone dell'Hotel Mortiz, che a me non piace. Lui e la sua dannata famiglia. Loro sono ricchi, ostentano, non si sentono delle montagne. Solo grosse auto e modi da milanesi. Lo so ora giriamo solo formaggi, ma sogno di più
Nostro padre era un uomo burbero, schivo, fatto per il lavoro, non ci ha lasciato ricordi. Doveva farci anche da madre, ma non ha fatto neppure da padre. Abbiamo ereditato questa malga in montagna, una partita IVA e i macchinari. Noi proseguiamo, senza farci altre domande. Solo dopo che è morto ho capito tutto, la provenienza dei suoi grossi, improvvisi guadagni.
Il formaggio non ha mai viaggiato solo, una forma ogni cento, che prende il nome di Zeta, veniva svuotata e riempita di cocaina purissima. Ogni nostra forma Zeta sale al nord Europa, compiendo un percorso assolutamente identico a quello delle altre squisitissime sorelle. Siamo un magazzino, un reparto di stoccaggio e inscatolamento. 
Una sosta nel Nord Italia che è l'ideale per far perdere le tracce della merce, confondere le acque. Mio padre era sempre stato preciso, nel suo segreto, celato ai figli prima di tutti, nessuno sapeva dell'esistenza delle forme Zeta.
è stato Ross, il fornitore svizzero, a illuminarci, a lui il compito di educarci, la base andava mantenuta. Nel tempo il mio rapporto di amicizia e di stima con Ross è andato a rafforzarsi. Un rapporto destinato a durare, al riparo dalle ingordigie che fanno sfumare traffici di questo genere, molti regali, niente internet, niente telefono, solo visite personali e poco contante.
Ho scelto di tenere Carolina fuori, perché due uomini sono già troppi, perché lei non deve sapere. Eppure capiva, non obiettava e sorvolava, qualche oggettino costoso e per il resto solo palestra e meditazione. Una ragazza regolare, una vera donna di montagna che fingeva di accontentarsi di tutto questo. E io la amo per questo.

Un gran casino e mi sveglio in auto, forse Carolina è ancora in chirurgia, mi guardo attorno, ma non sono all'ospedale. Sono sulla statale. E solo allora mi accorgo che non mi son mai mosso da qua, dalla piazzola, ho la sigaretta ancora spenta in mano. Il colpo di sonno.

Rifletto su tutto, la visione nitida e l'odore del sangue tra le gambe di Carolina mi turba. Gli affari vanno bloccati, questo è stato il classico sogno premonitore, non devo ignorare i segnali. Avvio l'auto e mi immetto in statale, stasera chiamo Ross, per la prima volta lo invito a cena, prossima settimana, dobbiamo parlare.

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