lunedì 30 dicembre 2013

Cassetto n°113

- Avere un gran cazzo è la via...
Una frase di mio padre, certo che se questa frase l'avesse pronunciata Rocco Siffredi avrei capito, John Holmes già meno, che è finito schiavo della coca e morto di AIDS...
Poi ci sono i fatti, la vita stessa di Tamburo, ad esempio, mi ha fatto dubitare definitivamente di questo dogma.
Eravamo sempre noi tre: io, Magno e Tamburo, a giocare a pallone, a rompere i vetri delle cascine, a toccare le tettine della Milli. Sempre insieme, inseparabili, ma lo sapevamo: Tamburo non era come noi. 
I primi dubbi venivano anche da vestiti, Tamburo si sedeva sempre con calma, Tamburo non correva mai, cioè correva si, ma non era libero come noi. Tamburo aveva un cazzo enorme.
Ma non dico un cazzo grande venti, ventidue centimetri, Tamburo era malato, Tamburo era freak, come dicono gli americani.
Il suo soprannome viene dall'82, una mia festa di compleanno, i miei mi avevano regalato una batteria giocattolo, quelle da pochi soldi e ci stavamo divertendo a suonarla a turno. Più che altro si faceva del casino per mandar via quelli meno simpatici, quelli che vengono, obbligati dai genitori, con un regalo di merda tipo un bagnoschiuma o un pigiama.
Il piano era restare noi tre con la Milli e spupazzarcela per metà del tempo dietro ai divani.
A un certo punto, si piazza Magno e comincia a battere le casse, dice che sa suonare come Slash, che poi ignoravamo essere il chitarrista dei Gun's n Roses, per noi era solo uno bravo. Insomma Magno non si leva dalle palle e monopolizza lo strumento. Allora Tamburo, che è uno incazzoso, lo spinge a terra e si sistema alla batteria. Ovviamente sedendosi con calma, piano.
Magno, stronzo come pochi, scaglia le bacchette fuori dalla finestra e che fa Tamburo? Preso dalla foga tira fuori il cazzo e comincia di slancio a sbatterlo sulle casse, di dritto e di rovescio. poi anche di lato. Solide, vibranti randellate al tamburo.
A un certo punto incrocia pure le mani dietro alla testa e ad occhi chiusi prosegue ad assestare robusti schiaffoni di punta alle membrane dello strumento.
La festa si ferma, sento mia madre che dice, dall'altra parte della sala:
- Oh santa madonna, ma sua madre lo sa?
La festa è finita, la frase di mia madre resta nell'aria, pesante, come l'imbarazzo di mio padre, la visione di quello che avevamo tutti supposto, ma mai quantificato esattamente, sancisce la fine di un'epoca, la consapevolezza delle differenze. L'età adulta ha quindi inizio.
- Avere un gran cazzo è la via, ma non è tutto.
Riassume mio padre, piega il giornale e lo getta nel cassetto della carta vecchia, si gira ed entra in cucina, trascinando le ciabatte. Un uomo finito.
Gli anni dopo sono quelli di chi parte, di chi resta al paese. Tamburo lo dicono a Roma a studiare, poi compaiono notizie che è in Germania e ripara camion, Magno si sposa, io pure.
Io felice, lui mai, vittima di un'avida risucchiatrice di soldi rimasta incinta la prima sera, sui sedili della sua Opel bianca senza specchietti.
Magno piange spesso con me al telefono, Tamburo intanto, sparisce del tutto dalla circolazione.
Solo tre giorni fa, in un sito porno tedesco, lo vedo, è lui, in piedi in mezzo a un cerchio di giovani mulatte, serve loro il suo pezzo forte, sul cabaret, tra paste e cannoli siciliani.
Si sa, un pizzico di stereotipi nel panorama porno han sempre fruttato bene. Il film si chiama Mulatte e biscotti e Tamburo è ingrassato, porta i baffi e nei cinque minuti di promo del video, non dà sfoggio di grandi doti artistiche, ma solo di un cappellino da pasticcere e dei baffi che ho già detto. La camera indugia sul suo enorme apparato, che nel tempo pare ingrassato insieme a lui, poi è tutto un incedere di allusioni relative al verbo "infornare" ecc.
Di solito gli uomini con un grande pisello hanno baffi rigogliosi e fanno mestieri umili, penso ridendo mentre chiudo il Macbook.
Domani prendo il telefono e lo chiamo, giuro.
Un anno dopo, il telefono, lo prendo davvero.
Appuntamento a Ostia, alla trattoria Malagola, un ristorantino che gestisco con due soci sulla statale, sono passati quasi vent'anni da quelle feste in casa.
- Mamma mia Tambù, quante fighe che te farai!
- Ah no perchè te pensi che me le scopo?
- No, e che ce giochi a carte?
- No ti spiego: io ce faccio le foto, je metto la punta, così...dù sorrisetti, poi quelle se le scopano altri
- cioè artri col cazzo piccolo?
- No cazzo piccolo no, ma meno grosso del mio, le attrici non vogliono mica rimanè disossate
- ah dici che guardano alla carriera
- Poi me tira poco
- Che?
- Ah Magno, me tira pocooooooo!
-  Embhè! E inforco il primo pezzo di rombo
Tamburo parla da solo, come da flusso di coscienza:
- Io non avevo mai capito, cioè certe cose se non te le dice la gente mica ci pensi tu. Sta cosa del cazzo,  ad esempio, che ne sapevo io, mica è come avere un gran naso o un tiro alla Ronaldo. Quello te lo fan notare dalla nascita. Sono stato nel Guiness dei primati ragazzi, tre anni, mi pagavano pure, poi spunta sto newyorkese chiamato Jonah Falcon, trentasette centimetri certificati, tutti a casa.
- E quindi, che succede Tambù?
- Eh che succede, il lavoro andava male me sò trovato a far sti video, ste maialate, ma poi non lo tenevo più su, ci volevano delle funi, poi la bamba e me sò quasi avvelenato de Viagra e Cialis e l'anno scorso, primo infarto. Succede che a marzo me faccio ridurre il pisello
- Succede che ce diventi normale fratè...
- Non ho chiesto io sto fardello, non tutto l'eccesso è un dono
Rimaniamo silenziosi un attimo, a fissare i piatti. Giusto.
- Quindi un chirurgo de Ginevra me toglie sti quattro cinque centimetri de scopa, vivo mejo e de più. Che me frega der cazzo a mè, se non posso scopà, poi mica me rimane na miccetta...
Mi pare il momento  giusto di alzare un calice al cielo e lo alzo
- Alla spuntatina!
La serata prosegue e brindiamo a Tamburo, all'eccesso di dono e alle stelle cadute, alla statale che da Ostia va a Roma e alla moglie di Magno, che gli ha concesso il divorzio. Ed era ora, sta stronza.


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