martedì 11 novembre 2014

Cassetto n°144

Io penso che sia stata una fortuna lavorare in psichiatria, nel duemilacinque o giù di lì, che la roba che vidi quei primi anni, non la vedrò mai più. 
Mi viene in mente un certo Roncati, detto Robertone.
La prima volta che scese dall'ambulanza, per entrare nella nostra comunità mi disse: "L'ho detto e lo ripeto, lei doveva fare il militare". 
Era alto, ma alto proprio, ma sopratutto grasso, aveva una pancia enorme e gambe tubolari, a tronco di sequoia. Trascinava i piedi, orribilmente maciullati dal diabete, dentro delle ciabatte sfatte, estate e inverno, sempre coi calzini.
Oltre ad essere pesantemente alcolizzato era incline ai ricatti affettivi e ai tentativi di suicidio. Fumava ovviamente moltissimo e il suo vizietto era tagliarsi.
Avevo visto altri che si tagliavano, ma Roncati si tagliava proprio, una volta mi raccontò che gli uscirono le budella dalla pancia, per quanto aveva spinto. La spessa cicatrice violacea, larga almeno quattro centimetri, testimoniava il vero.
Vede questa pancia? Ho tagliato qua e qua e i muscoli e non si son più riattaccati, per questo sporge tanto. E gli credevo
Roncati raccontava di essere un nobile toscano, di avere case sparse in mezza Italia, ormai tutte in mano al fisco. Raccontava delle donne che aveva, quando era magro, e di aver passato la giovinezza a scorrazzare per l'europa su un Jaguar del padre. Ora non riusciva nemmeno a pulirsi il culo.
Siena, Roma e Parigi.
Non stentavo a credergli.
Roncati lo vedevi sempre con la Moretti da 66 in mano, le finiva alla goccia, decine al giorno. Poi si alzava e tornava verso casa. Puzzava tanto, forse erano le piaghe che aveva sulle gambe, forse non riusciva a lavarsi, puzzava proprio di carogna, molto peggio che merda o vomito. Odori comunque che non scordi, nemmeno a distanza di anni, che lasciano qualcosa alle tue impressioni più immediate, quelle superficiali.
Una volta, non so come, riuscì a dargli un passaggio sulla mia Opel Corsa, era troppo sbronzo per rientrare, l'odore restò dentro per mesi.
Dopo un mese Robertone stava simpatico a tutti, tranne ai baristi, che ne avevano inizialmente sottovalutato la portata prosciugatrice e ora si trovavano a compilare lunghe liste di birre a credito.
Rientrava in comunità, ruttava e via con "L'ho detto e lo ripeto" barcollava paurosamente "lei doveva fare il militare" mi indicava e riprendeva a trascinarsi verso le macchinette per un caffè o l'acquafrizzante.
Robertone era dentro anche per una procedura penale, aveva sparso assegni a vuoto in mezza Roma, con la firma Giovanni Paolo II. 
Mi difende un avvocato di Roma, un radicale, vecchio amico di mio padre, ogni anno manda una lettera al giudice e mi lasciano in comunità, ho perso delle libertà, ma guardami, non saprei che farmene
Arrivò un giorno, però, che il senatore radicale si dimenticò di mandare la  lettera e i carabinieri vennero a prendere Robertone, ci vollero due ore per farlo salire, urlante direttamente dalla sua panchina.
Io ero attento e cercai subito di spiegare il malinteso, la sua pena era stata commutata anni prima in permanenza in struttura riabilitativa. Gli agenti non vollero sentire ragioni, portarono il pachiderma il lacrime dritto in carcere.
Sarà per qualche giorno. Vedrai che si chiarirà
Ci confrontammo coi carabinieri, Robertone avrebbe sicuramente tentato qualche sciocchezza, lo piantoneremo giorno e notte, è la prassi per quelli come lui. E mentre diceva come lui il maresciallo ruotava l'indice verso la tempia.
I giorni divennero settimane, non sapevamo più nulla, ma Robertone, lontano dalle Moretti, dalle passeggiate su e giù per il discount, non se la doveva passare bene.
Ce la sentivamo sta cosa, la sua mancanza, non è che sposti due quintali da uno spazio all'altro e non cambia nulla, ma la vita doveva andare avanti e si sporzionavano pasti e terapie come fosse niente.
Noi si andava a lavoro e la sera a letto e si lottava per lo stipendio, come prima.
Robertone diventò uno dei tanti, quelli come lui partiti per non so dove e smisi anche di chiedermi dove fosse, che tanto, in manicomi e galere, l'ingiustizia ha fatto il solco.
Venni a sapere qualche tempo dopo che il suo era diventato un bel caso burocratico, aveva creato non pochi disagi alle guardie coi suoi colpi da matto.
Ci chiamarono perché il giorno prima, lasciato solo per qualche minuto, era riuscito a darsi fuoco con la copertina sintetica addosso.
Mi diede un gran fastidio pensare cosa aveva fatto, ma ancor  di più come fosse finito lì, in quella situazione, per fare esattamente quello che tutti ci saremmo aspettati da lui.
La coperta si era praticamente fusa alla pelle ed ora, 170 kg di Roberto stavano al Bufalini, reparto ustionati in coma farmacologico.
...dovremo asportare il primo strato di pelle, ma sarà difficile il paziente è troppo grasso
...non ho mai visto una persona tanto determinata a morire, appena lo facciamo riprendere dal coma farmacologico, questo si stacca tutti i tubi da solo.
...deve soffrire non poco.
Poi buio e silenzio, ci si prometteva di andarlo a trovare, poi il giorno libero si era troppo stanchi, distrutti, distratti per prendere la macchina.
Poi buio. Non sarebbe mai guarito, la sua era l'agonia della stessa condizione umana.

Andammo a trovare Robertone all'obitorio di Cesena, quattro mesi dopo.
Una fine annunciata, in un certo senso, una liberazione.
Il corpo enorme continuava a sudare liquidi, che defluivano attraverso un foro sotto la barella direttamente in un secchio per terra
Quel liquido pareva succo di melograno, pensai, e ghiaccio.
Un'ustione continua a bruciare anche dopo che il corpo è morto. In un certo senso, gli sopravvive. Il medico disse, quasi fosse una cosa bella o almeno affascinante.
Lasciammo Robertone su quel tavolo, a liquefarsi. Io mi indurivo, mentre il lavoro intorno a me cambiava, diventava tutto più formale, gerarchico e burocratizzato e di pazienti come Robertone, se ne vedevano sempre meno, era come se finisse lì un'epoca, i vecchi matti lasciavano posto a giovani sformati dalla droga
Da quella volta i radicali mi stanno un più sulle palle di prima e penso che davvero si, avrei dovuto fare il militare.


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